21 ottobre 2011

ANGRY BUT AMAZING: I SORPRENDENTI ANNI SETTANTA


Gli Anni '70, i ruggenti Angry Years. L'esplosione della popolarità di Bollywood o una fase di decandenza? C'è chi considera questo decennio  un lungo indulgere nel riciclo d’idee, chi lo vede come un’epoca di transizione e trasformazioni che dalla Golden Age dei ’50 ha accompagnato il cinema indiano alla sua rivoluzione contemporanea. Era il tempo del dominio di Amitabh Bachchan o della fortunata scalata di Rajesh Khanna? Del successo dei masala movies o della progressiva crescita di film d’autore a basso budget? La confusione, il caos, la creazione e la ripetitività, un cinema eterogeneo, verace, capace di scatenare incredulità e stupire, dominato dal dissenso e dagli sfoghi. Un forte dinamismo in superficie, una profonda crisi esistenziale oltre la facciata. Sparisce l’eroe rassicurante per lasciare spazio all’uomo comune preso d’assalto dalla satira, si fa spazio l’immagine negativa ma accattivante del villain, l’esasperazione del tiranno, a fronteggiarlo nasce l’anti- eroe, il super uomo tradito dalla vita, combattuto e in lotta con il mondo ma soprattutto in lotta con sé stesso, con la sua identità da costruire, con un passato che lo tormenta, con delle radici da dimenticare o da ritrovare.
Panorami dall’alto, grattacieli in costruzione su impalcature instabili, strade senza fine, la Marine Drive e i parchi cittadini, autobus strapieni, la forte suggestione della sua fabbrica dei sogni, la minaccia di un oscuro under world e un palcoscenico vivente di contrasti e ingiustizie sociali. Mumbai. La lunga lingua di terra congestionata di traffico e abitanti è il set prediletto dai registi, una madre protettiva e una donna infedele, la culla del destino dei personaggi e l’artefice delle loro fortune o sventure.    Lontano dalle strade urbane villaggi e campagne non meno minacciosi, paesaggi aridi di polvere e rocce in cui si nascondono insidie e soprusi da contrastare. Disoccupazione, depressione, una folla di volti senza nome impegnati in una lotta quotidiana per la sopravvivenza, la violenza e la ribellione nei film riflettono l’incertezza e la disillusione dei suoi spettatori. Lottare per creare un mondo migliore o evitare di guardare negli occhi il male per costruirsi la propria felicità? Davanti a problemi sociali non arginabili la soluzione sembra essere dimenticare, ignorare e passare oltre, chiudere le finestre che mostrano un mondo brutto (cit. Zanjeer) oppure cercare di riemergere e vedere nella coesione sociale una forza e una speranza (Sholay) .

E’ un cinema fatto di metafore, di tormenti interiori, di azioni irrazionali, governato da una crisi dei sistemi e dei valori. Amitabh Bachchan e il suo Angry Young Man divengono una forza soprannaturale, una psicologia di gruppo. L’eroe ha solo un nome, il cognome o lo rifiuta o non lo conosce, deve lottare ogni giorno senza alcuna sicurezza.   Tra i film che meglio esemplificano il tema della solitudine e dell’abbandono Muqaddar ka Sikandar è forse il più rappresentativo, l’attore è il figlio di nessuno e di tutti, colui che gioca con il destino, sfortunato per nascita, intraprendente per scelta, c’è una donna virtuosa (Rakhee) che si macchia della sua rovina perché non ha saputo aspettare, c’è una cortigiana seducente (Rekha) che lo corteggia e lo ricopre d’amore, ma è troppo tardi. Tutti si inseguono e si rincorrono in un triangolo à la Devdas ma le circostanze sono sbagliate e l’eroe resta solo con la sua sorte. Rekha ha portato sullo schermo diversi ruoli di donna infelice e sfortunata tanto quanto l’angry young man, vittima degli eventi, schiava della sua stessa bellezza, intrappolata in un presente che non può più cambiare, qualche anno dopo l’attrice sarà protagonista del suo ruolo malinconico per eccellenza, il dramma in costume Umrao Jaan.
Da una concezione di gruppo in cui la vita sociale è organizzata in comunità e famiglie si arriva all’isolamento dell’individuo, le separazioni nascono da differenze di pensiero (Deewar), lotte interne (Laawaris) o per volere del destino (Yaadon ki baaraat, Amar Akbar Anthony, Suhaag), per ritrovarsi i protagonisti devono attendere decenni, a volte lottano l’uno contro l’altro senza riconoscersi e sopportano tormenti o perdite proprio nel momento in cui tutto sembra tornare come prima. La formula cinematografica “lost & found” , scelta da Yash Chopra per Waqt e divenuta poi molto in voga nei film dei ’70, inseriva nelle trame storie di ricongiungimenti tra fratelli o coniugi in seguito a lunghe disavventure e peregrinazioni. Il successivo ritorno all’esaltazione della famiglia unita sarà negli anni ’80 soprattutto nei melodrammi di Sooraj Barjatya infarciti di tradizioni regionali, usi e costumi.
L’onestà non è la strada più facile da seguire se tutto si muove nella direzione opposta, questo il tema portante del film Deewaar , l’incontro/ sconto tra Ravi e Vijay, la retta via e la perdizione, il fratello minore coccolato dalla madre studia e porta avanti una vita onesta, il maggiore, schiacciato dalle circostanze costruisce la sua fortuna con le attività illecite ma diviene a suo modo un personaggio pubblico. Il destino guida gli eventi e non tutti gli uomini godono della stessa sorte, bambini già adulti imparano precocemente a cavarsela da soli trovando il coraggio di sfidare la insidie della città. Spacciatore, killer, boss della malavita, uomo d’affari dalle azioni torbide, produttore di alcolici adulterati durante il proibizionismo, giocatore d’azzardo , salvezza o distruzione poco importa. Secondo una concezione machiavellica del fine giustifica i mezzi l’eroe perde tempestivamente la sua innocenza e deve reagire, il protagonista trova porte chiuse in faccia, non viene apprezzato per il suo valore, l’onestà diviene solo un fardello se la società va avanti solo con le truffe e gli inganni. Nella lunga epopea del riscatto c’è normalmente una vendetta da inseguire, dei conti col passato da chiudere e la necessità di riemergere dal fondo e costruire una nuova vita. Sangue sudore e polvere, le emozioni sono estreme e mobili divengono le caratterizzazioni dei personaggi, l’eroina può essere al tempo stesso un angelo e una dark lady, l’eroe si presenta come coraggioso e audace pur essendo un mercenario e uno sbruffone.
 Da Sholay e Dharmatma, famosissimi film usciti nel 1975, abbiamo due dei più suggestivi imperatori del male del cinema indiano: Amjad Khan diviene Gabbar Singh, il bandito stile vecchio west dalle reazioni isteriche, mentre un oscuro Prem Nath si propone come il primo Padrino bollywoodiano. Il villain, ovvero lo spietato antagonista, sviluppa in questi anni tinte molto più forti ed assume  diverse caratteristiche rispetto al passato. I personaggi negativi degli anni del bianco e nero, sullo stile di Rahman, KN Singh e Ajit, erano perlopiù mariti fedifraghi, fratelli dissoluti o astuti cacciatori di dote che intrappolavano padri della sposa ingenui o ingordi di fama o denaro. L’immagine del cattivo diviene negli Angry Years notevolmente diversa, dal sofisticato impostore nasce il bandito, il ricercato, il boss che distrugge la vita dell’eroe o lo compra, rendendolo schiavo in cambio di protezione. I profili sono disegnati con cura e divengono spietati, grotteschi, assetati di vendetta, disastrosamente crudeli, l’ombra del villain è spesso accattivante ed energica al punto da risultare pure simpatica agli spettatori, basti pensare che Gabbar Singh fu così famoso e amato da venir scelto come testimonial pubblicitario. Attorno al boss si muovono schiere di sicari stranamente abbigliati, tigri o coccodrilli pronti a pasteggiare con gli scomodi informatori , squali fanno capolino tra le vetrate dei covi della mala illuminati da vistosi neon colorati. Se l’eroe è a suo modo un anti-eroe, che non propone un modello perfetto ma commette errori, si ubriaca, porta avanti traffici illeciti, il villain deve proiettare un’immagine ancora più oscura e spregiudicata, i suoi abiti di scena sono eccentrici e permettono un’immediata identificazione con il ruolo nel film. I costumisti si inventano barbe, strane capigliature, armi in bellavista, nei set troviamo bizzarri arredamenti, riproduzioni di club notturni o ristoranti barocchi. Amjad Khan, Denny Danzongpa, Prem Chopra, Prem Nath, Shatrughan Sinha tra gli attori specializzati soprattutto in ruoli negativi, a collegare l’età classica con l’era dei masala l’inossidabile e onnipresente Pran, lo straordinario attore ha lavorato in ruoli secondari per tre decenni ed ha proposto una personale fusione tra l’aspetto altero ed elegante del Bad Guy dell’Età D’Oro e la spietata sregolatezza del villain Anni ’70.
Contro il sadico antagonista si erge l’eroe della gente impegnato in una crociata disperata verso un mondo migliore, un uomo dal passato burrascoso improvvisamente coinvolto negli eventi e pronto a rischiare la vita per una causa giusta e per la sua ritrovata onestà.   Anche se non è facile individuare delle vere e proprie formule nella composizione dei film due sono gli ingredienti ricorrenti in molti dei plot cinematografici: la presenza di una spalla dell’eroe, l’amico per la vita o il fratello da proteggere, e della madre, molto spesso vedova o abbandonata da un marito smidollato, sempre virtuosa e spiritualmente forte. Vinod Khanna ha forgiato una carriera interessante quasi esclusivamente in ruoli d’appoggio, è stato più volte il composto eroe in seconda al cospetto di Big B ma si è dimostrato perfetto anche in parti di fuorilegge, bandito o nella commedia . Tra gli altri volti troviamo Shashi Kapoor, affascinante imbroglione, eroe romantico o severo ufficiale in divisa. L’Impatto cinematografico di Shashi è stato meno forte dei contemporanei Amitabh Bachchan e Rajesh Khanna, l’attore ha costruito comunque un suo spazio senza sgomitare ed ha intervallato ruoli minori a parti da protagonista, cinema a teatro, prodotti commerciali a titoli di nicchia. Durga Khote e Nirupa Roy sono state i volti materni più famosi di quegli anni, hanno impersonato la donna impavida e risoluta ma dispensatrice di quel calore rassicurante che fa sentire gli uomini sempre bambini , le madri cinematografiche hanno incarnato il ricordo dell’infanzia e dell’innocenza perduta dell’eroe, memorie che stimolano contrasti e inquietudini nel momento in cui l’uomo si macchia di peccati e vive di angosce. “Mere paas maa hai / Al mio fianco c’è nostra madre!” una delle frasi più celebri di Deewaar, Ravi l’ufficiale di polizia ricorda al fratello fuorilegge quanto lui si sia allontanato della retta via e dai valori, la patriarca, simbolo di spiritualità e della purezza è l’aura del bene assoluto che resta al fianco dell’uomo onesto, gli eroi sono coinvolti in un rapporto quasi edipico e a volte un’ombra di pura ossessione stringe il protagonista in un legame soffocante, come l’intesa tra Vijay (Amitabh Bachchan) e Shanti (Waheeda Rehman) in Trishul.
 Le eroine smisero di essere solo belle e incantevoli per diventare civettuole e sexy, seguendo la pista aperta qualche anno prima da Sharmila Tagore. Lo stile dinamico /chic inizia ad andare per la maggiore e la timidezza viene vinta. Nasce la donna indipendente che indossa sia gonnelline che saree dai motivi geometrici, pochissimi gioielli ma ampie collezioni di occhiali da sole e borsette, vengono introdotti i costumi da bagno, pantaloncini e stivali. Bobby e la suadente femminilità della giovanissima Dimple Kapadia rivoluzionarono le mode e scatenarono nuovi fermenti nel mercato, Zeenat Aman e Parveen Babi diventarono potenti sex symbol con ombelico in mostra, scollature in vista, ampissimi guardaroba all’ultima moda, la loro figura tonica fu totalmente in contrasto con l’immagine morbidamente voluttuosa delle attrici del passato. Zeenat divenne un’icona fashion nel giro di pochi film e gli abitini cuciti addosso per valorizzare al massimo la sua linea perfetta sono ad oggi considerati tra i gioielli della frenesia modaiola di Bollywood. Donna dei sogni o dangerous lady? Entrambe. L’eroina fuma, beve, strega gli uomini con le sue movenze senza trasformarsi necessariamente in un personaggio negativo. La figura femminile tradizionale resta in vita attraverso Hema Malini, sempre casta e votiva Dreamy Girl e Jaya Bhaduri l’unica attrice che è riuscita a firmare pellicole da sola protagonista (come Kora Kagaz e Anamika e Guddi) in un’epoca in cui le donne venivano scritturate per ruoli molto ritagliati. Helen, Aruna Irani e Bindu continuano ad essere le item girls preferite ma i confini tra le eroine e le danzatrici del night club si fanno alquanto sottili. La solare Neetu Singh diviene l’icona della fidanzatina modello ma si costruisce un guardaroba colorato di abiti occidentali e soprattutto minigonne, Leena Chandavarkar appare a volte timida e virginea, altre spregiudicata e dark in costumi ridottissimi, Mumtaz la graziosa ninfa dalle forme a clessidra è perfettamente cosciente del suo sex appeal e lo mostra senza inibizioni, Rakhee punta invece su uno studiato make up ad accentuare i suoi occhi smeraldo ma nell’armadio solo abiti essenziali, comodi e senza troppi accessori. 
Se l’individuo basta a se stesso ed è guidato da un certo narcisismo, l’ammirazione per la propria forza e orgoglio iniziano a confinare la storia romantica con l’eroina in un angolo sempre più ristretto. I desideri sensuali vengono accantonati a seguito di disagi o problemi più imminenti, le aspirazioni degli amanti si annullano nella rinuncia. Apnapan, Prem Kahani e Safar cercano di riportare in voga i melodrammi sentimentali sul tema del sacrificio, la lunga saga familiare di Yash Chopra Kabhie Kabhie propone una graduale sublimazione della passione nella poesia ma lascia intravedere la presenza di una nuova generazione più maliziosa e pratica che aspira a realizzare i propri sogni senza rimpianti. Mentre Pati Patni aur Woh e Doosra Admi narrano le tentazioni proibite dell’uomo comune annoiato dal matrimonio, il controverso Julie parla di sesso senza troppi giri di parole e Andaz propone una storia non convenzionale tra due vedovi che vogliono iniziare una nuova vita. Si alternano film in costume come Laila Majnu, con il lover boy Rishi Kapoor, e Heer Ranjha, i cui dialoghi furono interamente composti in versi dal poeta Kaifi Azmi, esce nel 1972 Pakeezah, l’ambizioso progetto di Kamal Amrohi e il testamento dell’attrice drammatica Meena Kumari, ma la sua genesi lunghissima lo colloca di fatto nella produzione cinematografica dei decenni precedenti. 
Il grande schermo getta il suo incantesimo e si propone come guaritore di massa attraverso un’ipnosi per esorcizzare le paure e scacciare le tensioni. Quale è però l’etica che le storie di fiction hanno diffuso? Come ottenere l’evasione attraverso vicende più concrete e strazianti della vita reale spesso segnate da continue sofferenze e vendette? Il miracolo si è avverato grazie alle doti un grande comunicatore e interprete attorno al quale un team di registi e sceneggiatori ha iniziato a sperimentare nuove idee. L’inimitabile Amitabh Bachchan ha rivoluzionato gli schemi ed ha portato avanti anche nello stesso film scene drammatiche, disperate, commoventi, romantiche e comiche, ha liberato la rabbia esistenziale fino ad ergersi a figura mitica e salvatrice. Il protagonista conosce i lati peggiori della società ma non ha paura, svolge lavori umili con orgoglio e lotta per le ingiustizie sociali. L’ottimismo, il trionfo dei valori e dell’integrità nei film di Raj Kapoor vennero dimenticati con l’emergere del pessimismo, la sensibilità di Raju si scontra quindi con la praticità di Vijay, la saggezza e la purezza di spirito che in Shree420 avevano liberato nuove speranze si confrontano ora davanti ai traumi subiti dall’angry young man, l’uomo che volutamente dimentica la strada giusta perché davanti ai mali della società o si resta impotenti o si reagisce come si può. Più tardi alcuni film proporranno una nuova redenzione paziente e un modello di eroe / lavoratore d’impronta socialista (Coolie) che suggerirà di vincere la povertà attraverso l’impegno, il lavoro e la fiducia nel futuro. 
Salim Khan e Javed Akhtar, meglio conosciuti come Salim & Javed, furono la coppia di script writers più famosa del cinema indiano, i due firmarono la sceneggiature di molti blockbuster come Zanjeer, Sholay, Don, Deewaar, Trishul, e sono ad oggi considerati i veri pionieri dell’Angry Cinema. Tra i registi che parteciparono alla costruzione dei più grandi personaggi di Bachchan: Yash Chopra, autore delle più articolate fusioni tra novità e tradizione, Prakash Mehra, l’emozione sopra ogni cosa, sensazioni forti, dialoghi taglienti e diretti, deliri di rabbia e vendetta perfettamente orchestrati, Manmohan Desai e suoi action movies in cui il crimine diventa spettacolo, l’autore che ha ricompensato il suo pubblico con film euforici dall’ intrattenimento saziante, Ravi Tandon, che ha puntato i riflettori sulla vulnerabilità dell’uomo costretto a vivere con scarsi mezzi finanziari e grandi responsabilità, Majboor, la sua opera migliore, è un racconto avvincente in cui la vita stessa si prende gioco dell’eroe con macabra ironia.
Dilip Kumar, uno dei grandi interpreti dell’Età d’Oro appare in questo decennio nei suoi ultimi film da protagonista tra cui Daastan e Gopi. I doppi ruoli che hanno caratterizzato la carriera di Dilip,  Ram aur Shyam e Ganga Jamuna, avvieranno una delle mode più evidenti degli Anni ’70 e saranno un motivo ricorrente nella filmografia di Bachchan fino ad ispirare anche nuove rocambolesche varianti al femminile (Hema Malini in Seeta aur Geeta, Rakhee in Sharmelee, Nanda in The Train, Sadhana in Geeta Mera Naam). Appaiono i sosia, gli impostori, i gemelli, la razionalità si fa da parte per lasciare spazio allo spettacolo, alle maschere, alle molteplici licenze narrative, gli scontri o le sovrapposizioni d’identità sviluppano un plot complicato ed inverosimile in cui l’attore ha l’opportunità di potersi esibire per il suo pubblico portando avanti due figure dalle personalità opposte con solo un modestissimo make up a marcare le differenze. Anche se il double role di villain / eroe in Don è sicuramente il più famoso, nella filmografia di Big B troviamo un carnet completo di molteplici ruoli, alcuni bi – generazionali padre / figlio/i, Adaalat e Mahaan, oppure storie di sosia perfetti al centro di confuse coincidenze come in The Great Gambler, ( il costoso film di Shakti Samantha girato anche a Venezia e a Roma) e Bandhe Haath (un ladro si sostituisce al suo sosia per fuggire alla polizia) , lo scambio di identità sarà presente anche in Zameer dove l’impostore che cerca di approfittare degli eventi inaspettatamente trova la sua redenzione. Anche Dev Anand, dallo spirito sempre giovane e non curante degli anni, ritorna ad interpretare doppi ruoli sulla scia dei titoli del passato (Hum Dono, Jewel Thief) Jhonny Mera Naam, avventure e disavventure di due fratelli gemelli separati dalla nascita, fu un film dall’intrattenimento leggero che riscosse un immediato successo.
Rajesh Khanna si accorge del vuoto lasciato dagli eroi romantici del bianco e nero e cerca di proporne un’alternativa attraverso il suo “happy go lucky man”. Se Amitabh era stato eletto il re indiscusso dei masala movies , Rajesh ha optato per il melodramma e la commedia di stile riuscendo, grazie anche ad un ottimo senso per gli affari e un buon fiuto nello scovare buoni script, a diventare un idolo popolare. Forse molto più fortunato che bravo, Khanna ha saputo sfruttare al massimo le sue carte e le occasioni incontrate lungo il cammino. Tra i film migliori : Anand, Bawarchi e Namak Haraam tutti diretti da Hrishikesh Mukherjee, le storie d’amore a lieto fine Mere Jeevan Saati (con Tanuja), Mehboob ki Mehndi (con Leena Chandavarkar), Raja Rani (con Sharmila Tagore), il divertente Joroo Ka Ghulam (con Nanda) , i melodrammi masala Saccha Jhuta e Aap Ki Kasam (con Mumtaz). Tra i pregi di Rajesh risalta la capacità di sapersi adattare anche a bassi profili evitando di sovrastare le sue eroine ma creando col loro una buona complicità, non ha detto no nemmeno a ruoli minori in film forgiati per sole protagoniste come Kati Patang, di Shakti Samanta, che disegna per Asha Parekh un personaggio tipicamente bachchaniano trasposto al femminile. 
Meno baciato dalla dea bendata è stato sicuramente Dharmendra, fascinoso e intenso nelle interpretazioni ma poco acuto nelle scelte. L’attore ha portato avanti negli Anni ’60 una carriera di qualità con ottimi titoli e collaborazioni con grandi registi ma nel decennio successivo ha mostrato un forte disorientamento. L’artista ha alternato film minori dalla trama scheletrica come Loafer e Jugnu a megasuccessi della portata di Sholay o dell’eccentrico dramma in costume Dharam Veer
Dopo un’adolescenza passata su palcoscenici teatrali e una lunga gavetta in ruoli e film minori, Sanjeev Kumar finalmente riesce ad avverare il suo desiderio di lavorare nel cinema, debutta al fianco di Dilip Kumar in Sunghursh e la sua performance riesce a mettere in ombra anche quella del grande attore. Sanjeev, la cui vita privata è stata tormentata e non priva di amarezze, tendeva a scegliere sempre ruoli difficili e controversi: uomini fragili (Anubhav, Pati Patni Aur Woh), traumatizzati (Khilona), passivi o disinteressati (Shatranj ke khilari), dimenticati dalla moglie (Aandhi) o dilaniati dalla perdita dei propri cari (Sholay). Sanjeev è stato il marito geloso nel film dallo script graffiante Faraar e il padre malvagio di Trishul e Mausam. Lo stile dell’attore, la sua espressività e la capacità di partecipare profondamente alle emozioni del suo personaggio hanno fatto di Sanjeev Kumar una della più grandi rivelazioni del cinema degli anni ’70.
Il mascolino ed energico Feroz Khan è passato da attore di seconda fila ad eroe da film di frontiera hollywoodiano, ma anche produttore e regista del suggestivo Dharmatma avventura movimentata e sanguinosa girata quasi interamente in Afghanistan. Le ambientazioni e i costumi dei film di Feroz ricordano l’atmosfera dei spaghetti western, Kala Sona trascina in un vortice di inquietudine e vendetta alla ricerca di un assassino misterioso attraverso paesaggi sconfinati, pericolosi gangster, fumatori di oppio, sparatorie e una donzella da salvare. La moda dei village movies infarciti di azione, banditi a cavallo e folklore lanciata da Mera Gaon Mera Desh e sperimentata poi in Mr Natwalral, Khoon Pasina e Zameer, trovò la massima espressione proprio in Dharmatma oltre che in Sholay, capolavoro di Ramesh Sippy, uno dei più grandi successi che il cinema indiano abbia mai conosciuto. 
Jeetendra cerca di proporsi come icona di giovane vitalità sullo stile di Shammi Kapoor e ce lo svela chiaramente il suo road movie carnevalesco Caravan, film che riunisce uno scoppiettante trio di eroine danzanti: Asha Parekh, Aruna Irani e la regina del cabaret Helen. L’attore compierà poi una tempestiva inversione di marcia fino a svoltare completamente al dramma sentimentale, scelta suggerita dall’incontro con la compagna di scena ideale: Reena Roy, attrice che per alcuni anni si propose come l’erede perfetta della scomparsa Meena Kumari.
Una voce fuori dal coro è stato invece Raj Kapoor , l’amatissimo regista ha cercato di contrastare l’invasione degli action movies con film sentimentali carichi di erotismo e dai molteplici messaggi. Raj ha lanciato il figlio Rishi nel suo ambizioso e autobiografico Mera Naam Joker ed ha regalato al fratello Shashi uno dei film più belli della sua carriera, Sathyam Shivam Sundaram. L’unico grande successo per gli RK studios negli anni ’70 è stato però Bobby, un’interessante love story che conquistò i cuori e il box office, film atipico per i suoi tempi ma precursore delle storie d’amore appassionanti che si faranno strada sotto il dominio dei Khan nei Novanta; questo titolo stranamente si inserisce all’interno del quadro dei suoi contemporanei, la storia è soffice e ampiamente musicata, i due giovani interpreti, Rishi Kapoor e Dimple Kapadia divennero modelli giovanili e i loro look furono i più copiati. Il film si impose come trend setter e scatenò vere e proprie isterie, l’esplosivo successo portò alla ribalta Rishi Kapoor che iniziò la sua repentina trasformazione in idolo dei teenager, l’innamorato, il chocolate boy, il ballerino. Slegandosi dalla sua immagine di star crossed lover e imparando a camminare da solo in fretta, il giovane attore si è lanciato in una serie di film dinamici e ricchi di verve, canzoni disco e atmosfere irrazionali, tra cui l’eccentrico Hum Kisise Kum Nahin di Nasir Hussain, Raffo Chakkar ispirato al film A qualcuno piace Caldo e il college movie Khel Khel Mein.
Un discorso a parte meriterebbe l’importante contributo del maestro Hrishikesh Mukherjee, regista dotato stile, umorismo e capacità intuitiva, autore di film a basso budget e alta concentrazione di idee, commedie ricche di spunti, tragedie agrodolci , liriche sull’uomo borghese e la sua vita ordinaria fatta di incertezze e routine. Lo splendido Namak Haraam che mostra il mutare di un’amicizia a seguito dei cambiamenti nella vita e nelle rispettive ideologie , e Anand commedia drammatica sulla morte e sulla separazione, seppur diversi si uniscono in un unico filone : i film sull’amicizia e la creazione/distruzione dei lagami, entrambi interpretati da Amitabh Bachchan / Rajesh Khanna sono piccoli capolavori di script e interpretazioni nei quali il regista ha messo a confronto con coraggio due personalità sceniche completamente opposte. L’equilibrio tra le due star è stato mantenuto grazie ad una semplice strategia: affidare a Khanna il personaggio portante tenendo Bachchan leggermente indietro per liberarlo gradualmente nel secondo tempo fino a lasciargli la conclusione della storia. Dotato di vista acutissima nell’individuare future rivelazioni, Mukherjee non solo ha avuto fiducia di un quasi sconosciuto Amitabh Bachchan e gli ha offerto il primo vero ruolo della sua carriera, ma ha scoperto il precoce talento di Jaya Bhaduri mentre la ragazza stava studiando al Film and Television institute di Pune scritturandola ancora teenager per il suo nuovo film. Jaya in Guddi incarna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e attraverso l’infatuazione per una star (Dharmendra) mostra quanto sia potente l’influenza del cinema popolare, e dei suoi volti ammalianti, nella vita quotidiana della gente.
Tra gli altri titoli interessanti girati tra il ’70 e il ’79 troviamo Chupke Chupke, commedia degli equivoci sugli scambi d’intentità (e coppie) che suggerisce anche divertenti quesiti linguistici, Jurmana triangolo amoroso che ci regala un inedito Amitabh Bachchan playboy, il dramma domestico Abhimaan, il senso di inferiorità di un marito nei confronti della talentuosissima moglie e Bbuddah mil gaya, scanzonato film sul tema della disoccupazione la cui trama si intreccia con elementi noir. 
L’innocenza e la piatta routine della vita quotidiana del medio borghese sono al centro della sorprendente commedia Golmaal, Amol Palekar si propose come il volto dell’uomo comune timido e pieno di remore, chiuso nel suo piccolo ufficio, tra tensioni , invidie e timore dei richiami del capo. Lavoro e post lavoro divengono la stessa cosa e dall’ufficio non ci si libera mai, il film crea situazioni comiche tra dipendenti e imprenditori mostrando catene di paradossali tentativi per tenersi buoni i propri superiori e proiettare un immagine attentamente studiata per far carriera. Spaventato dalla minaccia di un report di cattiva condotta, il protagonista si inventa la presenza di un ipotetico fratello gemello su cui scaricare le colpe, più vivace e non domabile, perditempo ed occidentalizzato.
Scritturando lo stesso interprete Basu Chatterjee elabora ancora più a fondo la tematica dell’uomo middle class e mette in luce, seppur con dolcezza e affetto, la sua evidente mediocrità. Chhoti si baat, Baaton Baaton Mein  e Khatta Meetha sono storie delicate e simpatiche sul corteggiamento e le tensioni amorose di timidi uomini borghesi appartenenti a tre diverse comunità di Mumbai: hindu, cattolica e musulmana. Rajnigandha, interpretato da Amol Palekar e Vidya Sinha, è un film sul compromesso in amore, la noia nei rapporti, ma anche l’indecisione e la superficialità delle donne nella scelta del proprio partner e l’incapacità degli uomini di uscire da una pigra indolenza.
Parlando di cinema intimo ed esploratore dei problemi domestici come non menzionare Basu Battacharya e la sua tendenza quasi ossessiva nel registrate le tensioni nella vita di coppia , l’amaro Avishkar è completamente basato sull’orgoglio ,egoismi e tradimenti, un tema simile viene proposto anche in Grihapravesh film che denuncia il disinteresse da parte dei coniugi nel far funzionare una vita insieme, ma soprattutto Anubhav, il gioiello della sua filmografia interpretato da Sanjeev Kumar e Tanuja, la telecamera spia la vita quotidiana di uomo che vive per lavorare e crede di non aver tempo per sua moglie, la storia è una delicata canzone in bianco e nero sul riaccendersi della passione tra i due e sul progressivo crollo della monotonia.
Gulzar arrivò al cinema in seguito alle sue collaborazioni con Bimal Roy, Basu Battacharya e Hrishikesh Mukherjee, dopo una lunga carriera di poeta e autore di testi intraprese la sua prima avventura da regista con l’intenso Koshish, storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza sordomuti, e Mausam, incontro e riappacificazione tra un padre fuggitivo e una figlia illegittima approdata in un bordello. Il regista ha dovuto fronteggiare alcune   polemiche durante l’uscita nelle sale di Aandhi biografia di una donna ambiziosa che si dedica alla carriera politica. Il film con Sajeev Kumar, il suo attore prediletto, e Suchitra Sen, è stato al centro di un dibattito riguardo ipotetici riferimenti alla vita di Indira Gandhi.
Nazionalismo e diaspora i temi che accompagnano la filmografia di Manoj Kumar , personaggio che da attore di commedie romantiche si è mutato in regista di storie patriottiche, in Roti, Kapda aur Makhan pone l’accento su l’incapacità di accedere ai beni di prima necessità e la lotta per raggiungere un equilibrio economico, Purab aur Pashim costruisce invece un family drama a partire dalla vendita dei documenti per emigrazioni clandestine in Inghilterra e il reclutamento di forza lavoro nei villaggi. il film è molto articolato e ispirato a vicende reali ma colpevole di aver demonizzato a priori la figura degli occidentali in funzione della sua propaganda. Dev Anand emulerà la svolta di Manoj e proporrà film a tema sociale/morale (Des Pardes, Hare Rama Hare Krishna) pur restando in una visione meno negativa e lasciando ampio spazio all’intrattenimento e alle colonne sonore.
 Si può accantonare il romanticismo, tagliare ogni spesa superflua, preferire scenari urbani o rurali a set artificiali ma un elemento non può e non deve mai mancare: dosi generose di musica: canzoni struggenti, elettrizzanti item songs , ritmi del folklore popolare e vitali brani introdottivi che presentano al pubblico l’eroe. Gli Anni Settanta sono da molti considerati il trionfo assoluto delle colonne sonore bollywoodiane, la voce suadente di Kishore Kumar, l’energia di Mohammad Rafi, i virtuosismi di Lata Mangeshkar, la versatilità di Asha Bhosle, le squisite melodie di RD Burman, Khayyam, Kalyanji – Anandji , Laxmikant – Pyarelal. I duetti romantici ("Hum tum" e "Tere chehre se") , le poesie in musica ("Kabhie kabhie", "Pal pal di ke paas" ) gli inni all’amicizia (“yeh dosti”) , le sfrenate esibizioni nei club (“Pya tu aab to aaja”), sullo schermo gli sguardi ammalianti di Zeenat Aman in “Chura Liya Hai” , l’efferscenza multicolor di "Duniya mein logo ko" , la malinconia di "Meri beeghi beeghi si" e "Tum bhi chalo", mentre “Yeh jo chilman hai” e “Oh mere dil ke chain” guidano i successi di Rajesh Khanna. Onnipresenti in tv, radio, mp3 e telefonini, brani e video dei ‘70 continuano ad essere ricordati con nostalgia e rappresentano un bagaglio culturale che è stato tramandato anche ai più giovani.
Contemporaneamente alle pellicole di consumo ha continuato a svilupparsi il così chiamato Cinema Parallelo, film destinati ad un pubblico di nicchia, coraggiosi nei contenuti, spesso corrosivi nelle critiche sociali. Garam Hawa di MS Sathyu , storia drammatica di una famiglia musulmana che sceglie di rimanere in India durante la partizione, venne nominato per la palma d’oro a Cannes, Junoon di  Shyam Benegal con Shashi Kapoor / Jennifer Kendall / Nafisa Ali, racconta le disavventure di due donne inglesi, madre e figlia, fuggiti da un agguato dell’esercito indiano. Smita Patil debutta al fianco di Shabana Azmi e Naseruddin Shah in Nishant, film sull’oppressione dettata dalle caste superiori una remota località rurale, l’attrice dal talento quasi miracoloso sarà la protagonista di Bhumika di Shyam Benegal, ispirato alla biografia di Hansa Wadkar, un’attrice di teatro marathi approdata poi al grande schermo e la sua vita turbolenta inseguendo una felicità sempre più sfuggente. Il film diventa il viaggio di una donna verso la disillusione e la scoperta di se stessa, l’eroina, alla continua ricerca d’amore si allontana dagli uomini che la sfruttano per il suo denaro e la sua bellezza, stanca di sopportare ipocrisie e facciate scende infine a patti con la propria solitudine. Dello stesso regista, e sempre incentrato su un personaggio femminile, è Ankur, film che segnò il debutto di Shabana Azmi, la storia, ambientata in un villaggio dell’India del Sud mostra il figlio di un proprietario terriero che si diverte a sedurre e sfruttare la bella moglie di un suo servitore sordomuto. Nel 1977 Satyajit Rai filma il suo primo film in lingua hindi, Shatranj ke khilari / The Chess Players, satira diretta sia alla forza distruttiva del colonialismo che all’improduttiva passività della vecchia aristocrazia. Mirza (Sanjeev Kumar) e Mir (Saheed Jaffrey) , due nawab di Lucknow ipnotizzati e dipendenti dal gioco, dimenticano le proprie mogli e gli impegni sociali, spaventati da una possibile chiamata alle armi per respingere l’esercito inglese fuggono in un villaggio remoto così da non interrompere la loro partita. Rai inserì anche sequenze animate che narrano come vignette la progressiva avanzata degli inglesi, dialoghi ricchi di doppi sensi fanno del film una sofisticata parabola sulla decadenza. 
Le tematiche del cinema degli Anni ’70 furono indubbiamente influenzate dalle turbolenze politiche e sociali del tempo. Il malcontento, la precarietà l’insicurezza ma anche la nascita delle classi borghesi cittadine, dei lavori 9 to 5 e dell’ascesa al successo dei  nuovi ricchi. La richiesta di film aumentava a dismisura, l’appeal delle grandi superstar era così forte che tutti i registi avrebbero voluto  il volto di Big B in uno dei loro progetti, le produzioni puntarono a minori investimenti economici per concentrare tutte le energie sulla costruzione dei dialoghi (le frasi più significative si imparavano a memoria) , sulla scelta dei profili dei personaggi, sull’effetto sorpresa e su un coinvolgimento aggressivo, che stordisce. 
Gli Angry Years continuarono ad influenzare le produzioni degli anni successivi, molti dei film degli anni ’80 e dei primi ’90 ne sono la continuazione, la lotta interiore e la ribellione si trasformarono nella rabbia dell’antieroe dalle tinte oscure, frustrato dagli insuccessi e psicopatico. I ruoli negativi interpretati dal giovane Shahrukh Khan in Baazigar, Anjaam e Darr riflettono questa tendenza così come Karan Arjun può considerarsi di fatto un village movie vecchio stile sul tema del ricongiungimento e delle multiple reincarnazioni. Nel cinema degli Anni ’80 , spesso così difficile da digerire, la violenza diviene fine a se stessa, e le pellicole si dimostrano molto spesso una lunga ballata degli eccessi, interessanti esempi sono Kalnayak con Sanjay Dutt, l’angry hero per eccellenza, non combattuto su quale sia la via giusta da scegliere ma consapevolmente rifiutato e sbagliato, oppure Teezab con Anil Kapoor e Madhuri Dixit. Amitabh Bachchan continuò ad interpretare film ancora pienamente classificabili come spettacoli dell’angry young man, tra cui Mard, Sheensha, Sharaabi e lo “Scarface indiano” Agneepath
Ramesh Sippy è stato autore di una certa fumettizzazione del villain che ha dato il via a nuove mode, la potenza del male sembra nascere dalla sua parodia. Lo spietato bandito Gabbar Singh ma anche il più cinico e sarcastico Shakal (da Shaan), il soldato dai giochi mortali, hanno avuto celebri rivisitazioni tra cui Mogambo, il fantomatico dittatore di Mister India a cui presta il volto Amrish Puri, a seguire altri profili negativi i cui gesti sono pervasi da un isterico sadismo, come  Naseruddin Shah in Chahaat e Amrish Puri in Koyla.
In Tamil Nadu troviamo Rajinikant, la superstar dell’India del Sud che ha rielaborato l’immagine dell’angry young man incontrando un successo plateale. Il cinema tamil mostra ancora delle linee comuni con gli Angry Years bollywoodiani,  l’ossessione per i  multipli ruoli e gli scambi d’identità, la doppia immagine angelica e provocatrice dell’eroina, gli spietati villain, politici corrotti e la loro criminalità organizzata. Il tema della solitudine dell’eroe e la crisi dei sistemi è un motivo presente in gran parte delle sceneggiature, l’eroe è solo e non può fidarsi, paga a caro prezzo il persistere della sua ingenuità e dover uscire dall’inferno diviene una sfida utopica che si conclude spesso nella tragedia.

Ispirazioni,  citazioni, ricordi. Gli Anni '70 continuano a vivere nell'industria cinematografica più seducente del pianeta con la loro grinta ed energia. Non resta che lasciarsi travolgere dai lustrini degli abiti di scena di Helen, dal sex appeal di Zeenat Aman, dalla vitale energia di Rishi Kapoor, dai melodrammi di Rajesh Khanna, dalle lacrime di Reena Roy, dalla virilità  di Feroz Khan, dal fascino sottile di Shashi Kapoor, dalla malinconica sensibilità di Sanjeev Kumar, dall esagerato carisma di Amitabh Bachchan, dagli arredi sorprendenti delle bische clandestine di Hera Pheri, dalle rappresaglie di Khoon Pasina, dalle risse e i rapimenti di Mera gaon mera desh , lotte ed inquietudini che meravigliosamente si annullano nelle note di una vivace canzone.