21 ottobre 2011

ANGRY BUT AMAZING: I SORPRENDENTI ANNI SETTANTA


Gli Anni '70, i ruggenti Angry Years. L'esplosione della popolarità di Bollywood o una fase di decandenza? C'è chi considera questo decennio  un lungo indulgere nel riciclo d’idee, chi lo vede come un’epoca di transizione e trasformazioni che dalla Golden Age dei ’50 ha accompagnato il cinema indiano alla sua rivoluzione contemporanea. Era il tempo del dominio di Amitabh Bachchan o della fortunata scalata di Rajesh Khanna? Del successo dei masala movies o della progressiva crescita di film d’autore a basso budget? La confusione, il caos, la creazione e la ripetitività, un cinema eterogeneo, verace, capace di scatenare incredulità e stupire, dominato dal dissenso e dagli sfoghi. Un forte dinamismo in superficie, una profonda crisi esistenziale oltre la facciata. Sparisce l’eroe rassicurante per lasciare spazio all’uomo comune preso d’assalto dalla satira, si fa spazio l’immagine negativa ma accattivante del villain, l’esasperazione del tiranno, a fronteggiarlo nasce l’anti- eroe, il super uomo tradito dalla vita, combattuto e in lotta con il mondo ma soprattutto in lotta con sé stesso, con la sua identità da costruire, con un passato che lo tormenta, con delle radici da dimenticare o da ritrovare.
Panorami dall’alto, grattacieli in costruzione su impalcature instabili, strade senza fine, la Marine Drive e i parchi cittadini, autobus strapieni, la forte suggestione della sua fabbrica dei sogni, la minaccia di un oscuro under world e un palcoscenico vivente di contrasti e ingiustizie sociali. Mumbai. La lunga lingua di terra congestionata di traffico e abitanti è il set prediletto dai registi, una madre protettiva e una donna infedele, la culla del destino dei personaggi e l’artefice delle loro fortune o sventure.    Lontano dalle strade urbane villaggi e campagne non meno minacciosi, paesaggi aridi di polvere e rocce in cui si nascondono insidie e soprusi da contrastare. Disoccupazione, depressione, una folla di volti senza nome impegnati in una lotta quotidiana per la sopravvivenza, la violenza e la ribellione nei film riflettono l’incertezza e la disillusione dei suoi spettatori. Lottare per creare un mondo migliore o evitare di guardare negli occhi il male per costruirsi la propria felicità? Davanti a problemi sociali non arginabili la soluzione sembra essere dimenticare, ignorare e passare oltre, chiudere le finestre che mostrano un mondo brutto (cit. Zanjeer) oppure cercare di riemergere e vedere nella coesione sociale una forza e una speranza (Sholay) .

E’ un cinema fatto di metafore, di tormenti interiori, di azioni irrazionali, governato da una crisi dei sistemi e dei valori. Amitabh Bachchan e il suo Angry Young Man divengono una forza soprannaturale, una psicologia di gruppo. L’eroe ha solo un nome, il cognome o lo rifiuta o non lo conosce, deve lottare ogni giorno senza alcuna sicurezza.   Tra i film che meglio esemplificano il tema della solitudine e dell’abbandono Muqaddar ka Sikandar è forse il più rappresentativo, l’attore è il figlio di nessuno e di tutti, colui che gioca con il destino, sfortunato per nascita, intraprendente per scelta, c’è una donna virtuosa (Rakhee) che si macchia della sua rovina perché non ha saputo aspettare, c’è una cortigiana seducente (Rekha) che lo corteggia e lo ricopre d’amore, ma è troppo tardi. Tutti si inseguono e si rincorrono in un triangolo à la Devdas ma le circostanze sono sbagliate e l’eroe resta solo con la sua sorte. Rekha ha portato sullo schermo diversi ruoli di donna infelice e sfortunata tanto quanto l’angry young man, vittima degli eventi, schiava della sua stessa bellezza, intrappolata in un presente che non può più cambiare, qualche anno dopo l’attrice sarà protagonista del suo ruolo malinconico per eccellenza, il dramma in costume Umrao Jaan.
Da una concezione di gruppo in cui la vita sociale è organizzata in comunità e famiglie si arriva all’isolamento dell’individuo, le separazioni nascono da differenze di pensiero (Deewar), lotte interne (Laawaris) o per volere del destino (Yaadon ki baaraat, Amar Akbar Anthony, Suhaag), per ritrovarsi i protagonisti devono attendere decenni, a volte lottano l’uno contro l’altro senza riconoscersi e sopportano tormenti o perdite proprio nel momento in cui tutto sembra tornare come prima. La formula cinematografica “lost & found” , scelta da Yash Chopra per Waqt e divenuta poi molto in voga nei film dei ’70, inseriva nelle trame storie di ricongiungimenti tra fratelli o coniugi in seguito a lunghe disavventure e peregrinazioni. Il successivo ritorno all’esaltazione della famiglia unita sarà negli anni ’80 soprattutto nei melodrammi di Sooraj Barjatya infarciti di tradizioni regionali, usi e costumi.
L’onestà non è la strada più facile da seguire se tutto si muove nella direzione opposta, questo il tema portante del film Deewaar , l’incontro/ sconto tra Ravi e Vijay, la retta via e la perdizione, il fratello minore coccolato dalla madre studia e porta avanti una vita onesta, il maggiore, schiacciato dalle circostanze costruisce la sua fortuna con le attività illecite ma diviene a suo modo un personaggio pubblico. Il destino guida gli eventi e non tutti gli uomini godono della stessa sorte, bambini già adulti imparano precocemente a cavarsela da soli trovando il coraggio di sfidare la insidie della città. Spacciatore, killer, boss della malavita, uomo d’affari dalle azioni torbide, produttore di alcolici adulterati durante il proibizionismo, giocatore d’azzardo , salvezza o distruzione poco importa. Secondo una concezione machiavellica del fine giustifica i mezzi l’eroe perde tempestivamente la sua innocenza e deve reagire, il protagonista trova porte chiuse in faccia, non viene apprezzato per il suo valore, l’onestà diviene solo un fardello se la società va avanti solo con le truffe e gli inganni. Nella lunga epopea del riscatto c’è normalmente una vendetta da inseguire, dei conti col passato da chiudere e la necessità di riemergere dal fondo e costruire una nuova vita. Sangue sudore e polvere, le emozioni sono estreme e mobili divengono le caratterizzazioni dei personaggi, l’eroina può essere al tempo stesso un angelo e una dark lady, l’eroe si presenta come coraggioso e audace pur essendo un mercenario e uno sbruffone.
 Da Sholay e Dharmatma, famosissimi film usciti nel 1975, abbiamo due dei più suggestivi imperatori del male del cinema indiano: Amjad Khan diviene Gabbar Singh, il bandito stile vecchio west dalle reazioni isteriche, mentre un oscuro Prem Nath si propone come il primo Padrino bollywoodiano. Il villain, ovvero lo spietato antagonista, sviluppa in questi anni tinte molto più forti ed assume  diverse caratteristiche rispetto al passato. I personaggi negativi degli anni del bianco e nero, sullo stile di Rahman, KN Singh e Ajit, erano perlopiù mariti fedifraghi, fratelli dissoluti o astuti cacciatori di dote che intrappolavano padri della sposa ingenui o ingordi di fama o denaro. L’immagine del cattivo diviene negli Angry Years notevolmente diversa, dal sofisticato impostore nasce il bandito, il ricercato, il boss che distrugge la vita dell’eroe o lo compra, rendendolo schiavo in cambio di protezione. I profili sono disegnati con cura e divengono spietati, grotteschi, assetati di vendetta, disastrosamente crudeli, l’ombra del villain è spesso accattivante ed energica al punto da risultare pure simpatica agli spettatori, basti pensare che Gabbar Singh fu così famoso e amato da venir scelto come testimonial pubblicitario. Attorno al boss si muovono schiere di sicari stranamente abbigliati, tigri o coccodrilli pronti a pasteggiare con gli scomodi informatori , squali fanno capolino tra le vetrate dei covi della mala illuminati da vistosi neon colorati. Se l’eroe è a suo modo un anti-eroe, che non propone un modello perfetto ma commette errori, si ubriaca, porta avanti traffici illeciti, il villain deve proiettare un’immagine ancora più oscura e spregiudicata, i suoi abiti di scena sono eccentrici e permettono un’immediata identificazione con il ruolo nel film. I costumisti si inventano barbe, strane capigliature, armi in bellavista, nei set troviamo bizzarri arredamenti, riproduzioni di club notturni o ristoranti barocchi. Amjad Khan, Denny Danzongpa, Prem Chopra, Prem Nath, Shatrughan Sinha tra gli attori specializzati soprattutto in ruoli negativi, a collegare l’età classica con l’era dei masala l’inossidabile e onnipresente Pran, lo straordinario attore ha lavorato in ruoli secondari per tre decenni ed ha proposto una personale fusione tra l’aspetto altero ed elegante del Bad Guy dell’Età D’Oro e la spietata sregolatezza del villain Anni ’70.
Contro il sadico antagonista si erge l’eroe della gente impegnato in una crociata disperata verso un mondo migliore, un uomo dal passato burrascoso improvvisamente coinvolto negli eventi e pronto a rischiare la vita per una causa giusta e per la sua ritrovata onestà.   Anche se non è facile individuare delle vere e proprie formule nella composizione dei film due sono gli ingredienti ricorrenti in molti dei plot cinematografici: la presenza di una spalla dell’eroe, l’amico per la vita o il fratello da proteggere, e della madre, molto spesso vedova o abbandonata da un marito smidollato, sempre virtuosa e spiritualmente forte. Vinod Khanna ha forgiato una carriera interessante quasi esclusivamente in ruoli d’appoggio, è stato più volte il composto eroe in seconda al cospetto di Big B ma si è dimostrato perfetto anche in parti di fuorilegge, bandito o nella commedia . Tra gli altri volti troviamo Shashi Kapoor, affascinante imbroglione, eroe romantico o severo ufficiale in divisa. L’Impatto cinematografico di Shashi è stato meno forte dei contemporanei Amitabh Bachchan e Rajesh Khanna, l’attore ha costruito comunque un suo spazio senza sgomitare ed ha intervallato ruoli minori a parti da protagonista, cinema a teatro, prodotti commerciali a titoli di nicchia. Durga Khote e Nirupa Roy sono state i volti materni più famosi di quegli anni, hanno impersonato la donna impavida e risoluta ma dispensatrice di quel calore rassicurante che fa sentire gli uomini sempre bambini , le madri cinematografiche hanno incarnato il ricordo dell’infanzia e dell’innocenza perduta dell’eroe, memorie che stimolano contrasti e inquietudini nel momento in cui l’uomo si macchia di peccati e vive di angosce. “Mere paas maa hai / Al mio fianco c’è nostra madre!” una delle frasi più celebri di Deewaar, Ravi l’ufficiale di polizia ricorda al fratello fuorilegge quanto lui si sia allontanato della retta via e dai valori, la patriarca, simbolo di spiritualità e della purezza è l’aura del bene assoluto che resta al fianco dell’uomo onesto, gli eroi sono coinvolti in un rapporto quasi edipico e a volte un’ombra di pura ossessione stringe il protagonista in un legame soffocante, come l’intesa tra Vijay (Amitabh Bachchan) e Shanti (Waheeda Rehman) in Trishul.
 Le eroine smisero di essere solo belle e incantevoli per diventare civettuole e sexy, seguendo la pista aperta qualche anno prima da Sharmila Tagore. Lo stile dinamico /chic inizia ad andare per la maggiore e la timidezza viene vinta. Nasce la donna indipendente che indossa sia gonnelline che saree dai motivi geometrici, pochissimi gioielli ma ampie collezioni di occhiali da sole e borsette, vengono introdotti i costumi da bagno, pantaloncini e stivali. Bobby e la suadente femminilità della giovanissima Dimple Kapadia rivoluzionarono le mode e scatenarono nuovi fermenti nel mercato, Zeenat Aman e Parveen Babi diventarono potenti sex symbol con ombelico in mostra, scollature in vista, ampissimi guardaroba all’ultima moda, la loro figura tonica fu totalmente in contrasto con l’immagine morbidamente voluttuosa delle attrici del passato. Zeenat divenne un’icona fashion nel giro di pochi film e gli abitini cuciti addosso per valorizzare al massimo la sua linea perfetta sono ad oggi considerati tra i gioielli della frenesia modaiola di Bollywood. Donna dei sogni o dangerous lady? Entrambe. L’eroina fuma, beve, strega gli uomini con le sue movenze senza trasformarsi necessariamente in un personaggio negativo. La figura femminile tradizionale resta in vita attraverso Hema Malini, sempre casta e votiva Dreamy Girl e Jaya Bhaduri l’unica attrice che è riuscita a firmare pellicole da sola protagonista (come Kora Kagaz e Anamika e Guddi) in un’epoca in cui le donne venivano scritturate per ruoli molto ritagliati. Helen, Aruna Irani e Bindu continuano ad essere le item girls preferite ma i confini tra le eroine e le danzatrici del night club si fanno alquanto sottili. La solare Neetu Singh diviene l’icona della fidanzatina modello ma si costruisce un guardaroba colorato di abiti occidentali e soprattutto minigonne, Leena Chandavarkar appare a volte timida e virginea, altre spregiudicata e dark in costumi ridottissimi, Mumtaz la graziosa ninfa dalle forme a clessidra è perfettamente cosciente del suo sex appeal e lo mostra senza inibizioni, Rakhee punta invece su uno studiato make up ad accentuare i suoi occhi smeraldo ma nell’armadio solo abiti essenziali, comodi e senza troppi accessori. 
Se l’individuo basta a se stesso ed è guidato da un certo narcisismo, l’ammirazione per la propria forza e orgoglio iniziano a confinare la storia romantica con l’eroina in un angolo sempre più ristretto. I desideri sensuali vengono accantonati a seguito di disagi o problemi più imminenti, le aspirazioni degli amanti si annullano nella rinuncia. Apnapan, Prem Kahani e Safar cercano di riportare in voga i melodrammi sentimentali sul tema del sacrificio, la lunga saga familiare di Yash Chopra Kabhie Kabhie propone una graduale sublimazione della passione nella poesia ma lascia intravedere la presenza di una nuova generazione più maliziosa e pratica che aspira a realizzare i propri sogni senza rimpianti. Mentre Pati Patni aur Woh e Doosra Admi narrano le tentazioni proibite dell’uomo comune annoiato dal matrimonio, il controverso Julie parla di sesso senza troppi giri di parole e Andaz propone una storia non convenzionale tra due vedovi che vogliono iniziare una nuova vita. Si alternano film in costume come Laila Majnu, con il lover boy Rishi Kapoor, e Heer Ranjha, i cui dialoghi furono interamente composti in versi dal poeta Kaifi Azmi, esce nel 1972 Pakeezah, l’ambizioso progetto di Kamal Amrohi e il testamento dell’attrice drammatica Meena Kumari, ma la sua genesi lunghissima lo colloca di fatto nella produzione cinematografica dei decenni precedenti. 
Il grande schermo getta il suo incantesimo e si propone come guaritore di massa attraverso un’ipnosi per esorcizzare le paure e scacciare le tensioni. Quale è però l’etica che le storie di fiction hanno diffuso? Come ottenere l’evasione attraverso vicende più concrete e strazianti della vita reale spesso segnate da continue sofferenze e vendette? Il miracolo si è avverato grazie alle doti un grande comunicatore e interprete attorno al quale un team di registi e sceneggiatori ha iniziato a sperimentare nuove idee. L’inimitabile Amitabh Bachchan ha rivoluzionato gli schemi ed ha portato avanti anche nello stesso film scene drammatiche, disperate, commoventi, romantiche e comiche, ha liberato la rabbia esistenziale fino ad ergersi a figura mitica e salvatrice. Il protagonista conosce i lati peggiori della società ma non ha paura, svolge lavori umili con orgoglio e lotta per le ingiustizie sociali. L’ottimismo, il trionfo dei valori e dell’integrità nei film di Raj Kapoor vennero dimenticati con l’emergere del pessimismo, la sensibilità di Raju si scontra quindi con la praticità di Vijay, la saggezza e la purezza di spirito che in Shree420 avevano liberato nuove speranze si confrontano ora davanti ai traumi subiti dall’angry young man, l’uomo che volutamente dimentica la strada giusta perché davanti ai mali della società o si resta impotenti o si reagisce come si può. Più tardi alcuni film proporranno una nuova redenzione paziente e un modello di eroe / lavoratore d’impronta socialista (Coolie) che suggerirà di vincere la povertà attraverso l’impegno, il lavoro e la fiducia nel futuro. 
Salim Khan e Javed Akhtar, meglio conosciuti come Salim & Javed, furono la coppia di script writers più famosa del cinema indiano, i due firmarono la sceneggiature di molti blockbuster come Zanjeer, Sholay, Don, Deewaar, Trishul, e sono ad oggi considerati i veri pionieri dell’Angry Cinema. Tra i registi che parteciparono alla costruzione dei più grandi personaggi di Bachchan: Yash Chopra, autore delle più articolate fusioni tra novità e tradizione, Prakash Mehra, l’emozione sopra ogni cosa, sensazioni forti, dialoghi taglienti e diretti, deliri di rabbia e vendetta perfettamente orchestrati, Manmohan Desai e suoi action movies in cui il crimine diventa spettacolo, l’autore che ha ricompensato il suo pubblico con film euforici dall’ intrattenimento saziante, Ravi Tandon, che ha puntato i riflettori sulla vulnerabilità dell’uomo costretto a vivere con scarsi mezzi finanziari e grandi responsabilità, Majboor, la sua opera migliore, è un racconto avvincente in cui la vita stessa si prende gioco dell’eroe con macabra ironia.
Dilip Kumar, uno dei grandi interpreti dell’Età d’Oro appare in questo decennio nei suoi ultimi film da protagonista tra cui Daastan e Gopi. I doppi ruoli che hanno caratterizzato la carriera di Dilip,  Ram aur Shyam e Ganga Jamuna, avvieranno una delle mode più evidenti degli Anni ’70 e saranno un motivo ricorrente nella filmografia di Bachchan fino ad ispirare anche nuove rocambolesche varianti al femminile (Hema Malini in Seeta aur Geeta, Rakhee in Sharmelee, Nanda in The Train, Sadhana in Geeta Mera Naam). Appaiono i sosia, gli impostori, i gemelli, la razionalità si fa da parte per lasciare spazio allo spettacolo, alle maschere, alle molteplici licenze narrative, gli scontri o le sovrapposizioni d’identità sviluppano un plot complicato ed inverosimile in cui l’attore ha l’opportunità di potersi esibire per il suo pubblico portando avanti due figure dalle personalità opposte con solo un modestissimo make up a marcare le differenze. Anche se il double role di villain / eroe in Don è sicuramente il più famoso, nella filmografia di Big B troviamo un carnet completo di molteplici ruoli, alcuni bi – generazionali padre / figlio/i, Adaalat e Mahaan, oppure storie di sosia perfetti al centro di confuse coincidenze come in The Great Gambler, ( il costoso film di Shakti Samantha girato anche a Venezia e a Roma) e Bandhe Haath (un ladro si sostituisce al suo sosia per fuggire alla polizia) , lo scambio di identità sarà presente anche in Zameer dove l’impostore che cerca di approfittare degli eventi inaspettatamente trova la sua redenzione. Anche Dev Anand, dallo spirito sempre giovane e non curante degli anni, ritorna ad interpretare doppi ruoli sulla scia dei titoli del passato (Hum Dono, Jewel Thief) Jhonny Mera Naam, avventure e disavventure di due fratelli gemelli separati dalla nascita, fu un film dall’intrattenimento leggero che riscosse un immediato successo.
Rajesh Khanna si accorge del vuoto lasciato dagli eroi romantici del bianco e nero e cerca di proporne un’alternativa attraverso il suo “happy go lucky man”. Se Amitabh era stato eletto il re indiscusso dei masala movies , Rajesh ha optato per il melodramma e la commedia di stile riuscendo, grazie anche ad un ottimo senso per gli affari e un buon fiuto nello scovare buoni script, a diventare un idolo popolare. Forse molto più fortunato che bravo, Khanna ha saputo sfruttare al massimo le sue carte e le occasioni incontrate lungo il cammino. Tra i film migliori : Anand, Bawarchi e Namak Haraam tutti diretti da Hrishikesh Mukherjee, le storie d’amore a lieto fine Mere Jeevan Saati (con Tanuja), Mehboob ki Mehndi (con Leena Chandavarkar), Raja Rani (con Sharmila Tagore), il divertente Joroo Ka Ghulam (con Nanda) , i melodrammi masala Saccha Jhuta e Aap Ki Kasam (con Mumtaz). Tra i pregi di Rajesh risalta la capacità di sapersi adattare anche a bassi profili evitando di sovrastare le sue eroine ma creando col loro una buona complicità, non ha detto no nemmeno a ruoli minori in film forgiati per sole protagoniste come Kati Patang, di Shakti Samanta, che disegna per Asha Parekh un personaggio tipicamente bachchaniano trasposto al femminile. 
Meno baciato dalla dea bendata è stato sicuramente Dharmendra, fascinoso e intenso nelle interpretazioni ma poco acuto nelle scelte. L’attore ha portato avanti negli Anni ’60 una carriera di qualità con ottimi titoli e collaborazioni con grandi registi ma nel decennio successivo ha mostrato un forte disorientamento. L’artista ha alternato film minori dalla trama scheletrica come Loafer e Jugnu a megasuccessi della portata di Sholay o dell’eccentrico dramma in costume Dharam Veer
Dopo un’adolescenza passata su palcoscenici teatrali e una lunga gavetta in ruoli e film minori, Sanjeev Kumar finalmente riesce ad avverare il suo desiderio di lavorare nel cinema, debutta al fianco di Dilip Kumar in Sunghursh e la sua performance riesce a mettere in ombra anche quella del grande attore. Sanjeev, la cui vita privata è stata tormentata e non priva di amarezze, tendeva a scegliere sempre ruoli difficili e controversi: uomini fragili (Anubhav, Pati Patni Aur Woh), traumatizzati (Khilona), passivi o disinteressati (Shatranj ke khilari), dimenticati dalla moglie (Aandhi) o dilaniati dalla perdita dei propri cari (Sholay). Sanjeev è stato il marito geloso nel film dallo script graffiante Faraar e il padre malvagio di Trishul e Mausam. Lo stile dell’attore, la sua espressività e la capacità di partecipare profondamente alle emozioni del suo personaggio hanno fatto di Sanjeev Kumar una della più grandi rivelazioni del cinema degli anni ’70.
Il mascolino ed energico Feroz Khan è passato da attore di seconda fila ad eroe da film di frontiera hollywoodiano, ma anche produttore e regista del suggestivo Dharmatma avventura movimentata e sanguinosa girata quasi interamente in Afghanistan. Le ambientazioni e i costumi dei film di Feroz ricordano l’atmosfera dei spaghetti western, Kala Sona trascina in un vortice di inquietudine e vendetta alla ricerca di un assassino misterioso attraverso paesaggi sconfinati, pericolosi gangster, fumatori di oppio, sparatorie e una donzella da salvare. La moda dei village movies infarciti di azione, banditi a cavallo e folklore lanciata da Mera Gaon Mera Desh e sperimentata poi in Mr Natwalral, Khoon Pasina e Zameer, trovò la massima espressione proprio in Dharmatma oltre che in Sholay, capolavoro di Ramesh Sippy, uno dei più grandi successi che il cinema indiano abbia mai conosciuto. 
Jeetendra cerca di proporsi come icona di giovane vitalità sullo stile di Shammi Kapoor e ce lo svela chiaramente il suo road movie carnevalesco Caravan, film che riunisce uno scoppiettante trio di eroine danzanti: Asha Parekh, Aruna Irani e la regina del cabaret Helen. L’attore compierà poi una tempestiva inversione di marcia fino a svoltare completamente al dramma sentimentale, scelta suggerita dall’incontro con la compagna di scena ideale: Reena Roy, attrice che per alcuni anni si propose come l’erede perfetta della scomparsa Meena Kumari.
Una voce fuori dal coro è stato invece Raj Kapoor , l’amatissimo regista ha cercato di contrastare l’invasione degli action movies con film sentimentali carichi di erotismo e dai molteplici messaggi. Raj ha lanciato il figlio Rishi nel suo ambizioso e autobiografico Mera Naam Joker ed ha regalato al fratello Shashi uno dei film più belli della sua carriera, Sathyam Shivam Sundaram. L’unico grande successo per gli RK studios negli anni ’70 è stato però Bobby, un’interessante love story che conquistò i cuori e il box office, film atipico per i suoi tempi ma precursore delle storie d’amore appassionanti che si faranno strada sotto il dominio dei Khan nei Novanta; questo titolo stranamente si inserisce all’interno del quadro dei suoi contemporanei, la storia è soffice e ampiamente musicata, i due giovani interpreti, Rishi Kapoor e Dimple Kapadia divennero modelli giovanili e i loro look furono i più copiati. Il film si impose come trend setter e scatenò vere e proprie isterie, l’esplosivo successo portò alla ribalta Rishi Kapoor che iniziò la sua repentina trasformazione in idolo dei teenager, l’innamorato, il chocolate boy, il ballerino. Slegandosi dalla sua immagine di star crossed lover e imparando a camminare da solo in fretta, il giovane attore si è lanciato in una serie di film dinamici e ricchi di verve, canzoni disco e atmosfere irrazionali, tra cui l’eccentrico Hum Kisise Kum Nahin di Nasir Hussain, Raffo Chakkar ispirato al film A qualcuno piace Caldo e il college movie Khel Khel Mein.
Un discorso a parte meriterebbe l’importante contributo del maestro Hrishikesh Mukherjee, regista dotato stile, umorismo e capacità intuitiva, autore di film a basso budget e alta concentrazione di idee, commedie ricche di spunti, tragedie agrodolci , liriche sull’uomo borghese e la sua vita ordinaria fatta di incertezze e routine. Lo splendido Namak Haraam che mostra il mutare di un’amicizia a seguito dei cambiamenti nella vita e nelle rispettive ideologie , e Anand commedia drammatica sulla morte e sulla separazione, seppur diversi si uniscono in un unico filone : i film sull’amicizia e la creazione/distruzione dei lagami, entrambi interpretati da Amitabh Bachchan / Rajesh Khanna sono piccoli capolavori di script e interpretazioni nei quali il regista ha messo a confronto con coraggio due personalità sceniche completamente opposte. L’equilibrio tra le due star è stato mantenuto grazie ad una semplice strategia: affidare a Khanna il personaggio portante tenendo Bachchan leggermente indietro per liberarlo gradualmente nel secondo tempo fino a lasciargli la conclusione della storia. Dotato di vista acutissima nell’individuare future rivelazioni, Mukherjee non solo ha avuto fiducia di un quasi sconosciuto Amitabh Bachchan e gli ha offerto il primo vero ruolo della sua carriera, ma ha scoperto il precoce talento di Jaya Bhaduri mentre la ragazza stava studiando al Film and Television institute di Pune scritturandola ancora teenager per il suo nuovo film. Jaya in Guddi incarna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e attraverso l’infatuazione per una star (Dharmendra) mostra quanto sia potente l’influenza del cinema popolare, e dei suoi volti ammalianti, nella vita quotidiana della gente.
Tra gli altri titoli interessanti girati tra il ’70 e il ’79 troviamo Chupke Chupke, commedia degli equivoci sugli scambi d’intentità (e coppie) che suggerisce anche divertenti quesiti linguistici, Jurmana triangolo amoroso che ci regala un inedito Amitabh Bachchan playboy, il dramma domestico Abhimaan, il senso di inferiorità di un marito nei confronti della talentuosissima moglie e Bbuddah mil gaya, scanzonato film sul tema della disoccupazione la cui trama si intreccia con elementi noir. 
L’innocenza e la piatta routine della vita quotidiana del medio borghese sono al centro della sorprendente commedia Golmaal, Amol Palekar si propose come il volto dell’uomo comune timido e pieno di remore, chiuso nel suo piccolo ufficio, tra tensioni , invidie e timore dei richiami del capo. Lavoro e post lavoro divengono la stessa cosa e dall’ufficio non ci si libera mai, il film crea situazioni comiche tra dipendenti e imprenditori mostrando catene di paradossali tentativi per tenersi buoni i propri superiori e proiettare un immagine attentamente studiata per far carriera. Spaventato dalla minaccia di un report di cattiva condotta, il protagonista si inventa la presenza di un ipotetico fratello gemello su cui scaricare le colpe, più vivace e non domabile, perditempo ed occidentalizzato.
Scritturando lo stesso interprete Basu Chatterjee elabora ancora più a fondo la tematica dell’uomo middle class e mette in luce, seppur con dolcezza e affetto, la sua evidente mediocrità. Chhoti si baat, Baaton Baaton Mein  e Khatta Meetha sono storie delicate e simpatiche sul corteggiamento e le tensioni amorose di timidi uomini borghesi appartenenti a tre diverse comunità di Mumbai: hindu, cattolica e musulmana. Rajnigandha, interpretato da Amol Palekar e Vidya Sinha, è un film sul compromesso in amore, la noia nei rapporti, ma anche l’indecisione e la superficialità delle donne nella scelta del proprio partner e l’incapacità degli uomini di uscire da una pigra indolenza.
Parlando di cinema intimo ed esploratore dei problemi domestici come non menzionare Basu Battacharya e la sua tendenza quasi ossessiva nel registrate le tensioni nella vita di coppia , l’amaro Avishkar è completamente basato sull’orgoglio ,egoismi e tradimenti, un tema simile viene proposto anche in Grihapravesh film che denuncia il disinteresse da parte dei coniugi nel far funzionare una vita insieme, ma soprattutto Anubhav, il gioiello della sua filmografia interpretato da Sanjeev Kumar e Tanuja, la telecamera spia la vita quotidiana di uomo che vive per lavorare e crede di non aver tempo per sua moglie, la storia è una delicata canzone in bianco e nero sul riaccendersi della passione tra i due e sul progressivo crollo della monotonia.
Gulzar arrivò al cinema in seguito alle sue collaborazioni con Bimal Roy, Basu Battacharya e Hrishikesh Mukherjee, dopo una lunga carriera di poeta e autore di testi intraprese la sua prima avventura da regista con l’intenso Koshish, storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza sordomuti, e Mausam, incontro e riappacificazione tra un padre fuggitivo e una figlia illegittima approdata in un bordello. Il regista ha dovuto fronteggiare alcune   polemiche durante l’uscita nelle sale di Aandhi biografia di una donna ambiziosa che si dedica alla carriera politica. Il film con Sajeev Kumar, il suo attore prediletto, e Suchitra Sen, è stato al centro di un dibattito riguardo ipotetici riferimenti alla vita di Indira Gandhi.
Nazionalismo e diaspora i temi che accompagnano la filmografia di Manoj Kumar , personaggio che da attore di commedie romantiche si è mutato in regista di storie patriottiche, in Roti, Kapda aur Makhan pone l’accento su l’incapacità di accedere ai beni di prima necessità e la lotta per raggiungere un equilibrio economico, Purab aur Pashim costruisce invece un family drama a partire dalla vendita dei documenti per emigrazioni clandestine in Inghilterra e il reclutamento di forza lavoro nei villaggi. il film è molto articolato e ispirato a vicende reali ma colpevole di aver demonizzato a priori la figura degli occidentali in funzione della sua propaganda. Dev Anand emulerà la svolta di Manoj e proporrà film a tema sociale/morale (Des Pardes, Hare Rama Hare Krishna) pur restando in una visione meno negativa e lasciando ampio spazio all’intrattenimento e alle colonne sonore.
 Si può accantonare il romanticismo, tagliare ogni spesa superflua, preferire scenari urbani o rurali a set artificiali ma un elemento non può e non deve mai mancare: dosi generose di musica: canzoni struggenti, elettrizzanti item songs , ritmi del folklore popolare e vitali brani introdottivi che presentano al pubblico l’eroe. Gli Anni Settanta sono da molti considerati il trionfo assoluto delle colonne sonore bollywoodiane, la voce suadente di Kishore Kumar, l’energia di Mohammad Rafi, i virtuosismi di Lata Mangeshkar, la versatilità di Asha Bhosle, le squisite melodie di RD Burman, Khayyam, Kalyanji – Anandji , Laxmikant – Pyarelal. I duetti romantici ("Hum tum" e "Tere chehre se") , le poesie in musica ("Kabhie kabhie", "Pal pal di ke paas" ) gli inni all’amicizia (“yeh dosti”) , le sfrenate esibizioni nei club (“Pya tu aab to aaja”), sullo schermo gli sguardi ammalianti di Zeenat Aman in “Chura Liya Hai” , l’efferscenza multicolor di "Duniya mein logo ko" , la malinconia di "Meri beeghi beeghi si" e "Tum bhi chalo", mentre “Yeh jo chilman hai” e “Oh mere dil ke chain” guidano i successi di Rajesh Khanna. Onnipresenti in tv, radio, mp3 e telefonini, brani e video dei ‘70 continuano ad essere ricordati con nostalgia e rappresentano un bagaglio culturale che è stato tramandato anche ai più giovani.
Contemporaneamente alle pellicole di consumo ha continuato a svilupparsi il così chiamato Cinema Parallelo, film destinati ad un pubblico di nicchia, coraggiosi nei contenuti, spesso corrosivi nelle critiche sociali. Garam Hawa di MS Sathyu , storia drammatica di una famiglia musulmana che sceglie di rimanere in India durante la partizione, venne nominato per la palma d’oro a Cannes, Junoon di  Shyam Benegal con Shashi Kapoor / Jennifer Kendall / Nafisa Ali, racconta le disavventure di due donne inglesi, madre e figlia, fuggiti da un agguato dell’esercito indiano. Smita Patil debutta al fianco di Shabana Azmi e Naseruddin Shah in Nishant, film sull’oppressione dettata dalle caste superiori una remota località rurale, l’attrice dal talento quasi miracoloso sarà la protagonista di Bhumika di Shyam Benegal, ispirato alla biografia di Hansa Wadkar, un’attrice di teatro marathi approdata poi al grande schermo e la sua vita turbolenta inseguendo una felicità sempre più sfuggente. Il film diventa il viaggio di una donna verso la disillusione e la scoperta di se stessa, l’eroina, alla continua ricerca d’amore si allontana dagli uomini che la sfruttano per il suo denaro e la sua bellezza, stanca di sopportare ipocrisie e facciate scende infine a patti con la propria solitudine. Dello stesso regista, e sempre incentrato su un personaggio femminile, è Ankur, film che segnò il debutto di Shabana Azmi, la storia, ambientata in un villaggio dell’India del Sud mostra il figlio di un proprietario terriero che si diverte a sedurre e sfruttare la bella moglie di un suo servitore sordomuto. Nel 1977 Satyajit Rai filma il suo primo film in lingua hindi, Shatranj ke khilari / The Chess Players, satira diretta sia alla forza distruttiva del colonialismo che all’improduttiva passività della vecchia aristocrazia. Mirza (Sanjeev Kumar) e Mir (Saheed Jaffrey) , due nawab di Lucknow ipnotizzati e dipendenti dal gioco, dimenticano le proprie mogli e gli impegni sociali, spaventati da una possibile chiamata alle armi per respingere l’esercito inglese fuggono in un villaggio remoto così da non interrompere la loro partita. Rai inserì anche sequenze animate che narrano come vignette la progressiva avanzata degli inglesi, dialoghi ricchi di doppi sensi fanno del film una sofisticata parabola sulla decadenza. 
Le tematiche del cinema degli Anni ’70 furono indubbiamente influenzate dalle turbolenze politiche e sociali del tempo. Il malcontento, la precarietà l’insicurezza ma anche la nascita delle classi borghesi cittadine, dei lavori 9 to 5 e dell’ascesa al successo dei  nuovi ricchi. La richiesta di film aumentava a dismisura, l’appeal delle grandi superstar era così forte che tutti i registi avrebbero voluto  il volto di Big B in uno dei loro progetti, le produzioni puntarono a minori investimenti economici per concentrare tutte le energie sulla costruzione dei dialoghi (le frasi più significative si imparavano a memoria) , sulla scelta dei profili dei personaggi, sull’effetto sorpresa e su un coinvolgimento aggressivo, che stordisce. 
Gli Angry Years continuarono ad influenzare le produzioni degli anni successivi, molti dei film degli anni ’80 e dei primi ’90 ne sono la continuazione, la lotta interiore e la ribellione si trasformarono nella rabbia dell’antieroe dalle tinte oscure, frustrato dagli insuccessi e psicopatico. I ruoli negativi interpretati dal giovane Shahrukh Khan in Baazigar, Anjaam e Darr riflettono questa tendenza così come Karan Arjun può considerarsi di fatto un village movie vecchio stile sul tema del ricongiungimento e delle multiple reincarnazioni. Nel cinema degli Anni ’80 , spesso così difficile da digerire, la violenza diviene fine a se stessa, e le pellicole si dimostrano molto spesso una lunga ballata degli eccessi, interessanti esempi sono Kalnayak con Sanjay Dutt, l’angry hero per eccellenza, non combattuto su quale sia la via giusta da scegliere ma consapevolmente rifiutato e sbagliato, oppure Teezab con Anil Kapoor e Madhuri Dixit. Amitabh Bachchan continuò ad interpretare film ancora pienamente classificabili come spettacoli dell’angry young man, tra cui Mard, Sheensha, Sharaabi e lo “Scarface indiano” Agneepath
Ramesh Sippy è stato autore di una certa fumettizzazione del villain che ha dato il via a nuove mode, la potenza del male sembra nascere dalla sua parodia. Lo spietato bandito Gabbar Singh ma anche il più cinico e sarcastico Shakal (da Shaan), il soldato dai giochi mortali, hanno avuto celebri rivisitazioni tra cui Mogambo, il fantomatico dittatore di Mister India a cui presta il volto Amrish Puri, a seguire altri profili negativi i cui gesti sono pervasi da un isterico sadismo, come  Naseruddin Shah in Chahaat e Amrish Puri in Koyla.
In Tamil Nadu troviamo Rajinikant, la superstar dell’India del Sud che ha rielaborato l’immagine dell’angry young man incontrando un successo plateale. Il cinema tamil mostra ancora delle linee comuni con gli Angry Years bollywoodiani,  l’ossessione per i  multipli ruoli e gli scambi d’identità, la doppia immagine angelica e provocatrice dell’eroina, gli spietati villain, politici corrotti e la loro criminalità organizzata. Il tema della solitudine dell’eroe e la crisi dei sistemi è un motivo presente in gran parte delle sceneggiature, l’eroe è solo e non può fidarsi, paga a caro prezzo il persistere della sua ingenuità e dover uscire dall’inferno diviene una sfida utopica che si conclude spesso nella tragedia.

Ispirazioni,  citazioni, ricordi. Gli Anni '70 continuano a vivere nell'industria cinematografica più seducente del pianeta con la loro grinta ed energia. Non resta che lasciarsi travolgere dai lustrini degli abiti di scena di Helen, dal sex appeal di Zeenat Aman, dalla vitale energia di Rishi Kapoor, dai melodrammi di Rajesh Khanna, dalle lacrime di Reena Roy, dalla virilità  di Feroz Khan, dal fascino sottile di Shashi Kapoor, dalla malinconica sensibilità di Sanjeev Kumar, dall esagerato carisma di Amitabh Bachchan, dagli arredi sorprendenti delle bische clandestine di Hera Pheri, dalle rappresaglie di Khoon Pasina, dalle risse e i rapimenti di Mera gaon mera desh , lotte ed inquietudini che meravigliosamente si annullano nelle note di una vivace canzone.

17 giugno 2011

2005-2010: SUCCESSI DEL CINEMA HINDI CONTEMPORANEO



C’è un segreto dietro ogni film indiano particolarmente riuscito. A volte cerchiamo di spiegarlo razionalmente o di individuarne le radici, ma è un segreto e come tale continuerà a sfuggirci.

Che sia a Mumbai o in qualunque altro angolo del mondo, Bollywood è un luogo onnipresente e sovranazionale sul quale non cala mai il sipario, e la parola fine non può che essere provvisoria se la vita del film non si esaurisce con la sua programmazione nelle sale ma resiste alla vendita del dvd, agli anni che passano, all’insorgere di nuove tendenze, alla dilagante pirateria.  Aldilà dei confini nazionali, migliaia di NRI (Non Resident Indians) ritrovano nel cinema Hindi (ma anche Tamil, Telugu, Bengali, Malayali, Kannada...) un mezzo per mantenere i contatti con la propria lingua e le proprie radici pur vivendo all’estero. Il numero elevato di non-residenti non solo segue con interesse le nuove uscite ma si mostra ogni giorno più attento alla qualità degli script, della fotografia e della colonna sonora, e i registi, costantemente impegnati in nuove realizzazioni, devono tenere conto anche di loro e del pubblico occidentale che di riflesso viene coinvolto.
Un numero sempre maggiore di fans inizia a muoversi nei cinque continenti, nuovi ammiratori e seguaci che ad un certo punto scoprono di apprezzare il cinema indiano e, parafrasando una frase del regista Yash Chopra, improvvisamente sentono di “averne bisogno”. Lo star system non espone troppi nomi, e ciò nonostante la competizione è sfrenata e incessante, i personaggi di punta sono pochi ma buoni, i loro volti impossibili da dimenticare. Difficile per i debuttanti imporsi in un sistema ben consolidato, che siano nuovi attori, compositori o registi: la legge del mercato, governata da un pubblico esigentissimo, può decidere che dopo pochi flop sei fuori, e a volte ne basta uno solo. Nel fondersi continuo di passato e futuro, nella crescita vorticosa, nell’instancabile processo di creazione e fruizione, perdersi è facilissimo, e coloro che esaltano sono anche pronti a voltare le spalle se sentono di essere stati ingannati,  se avvertono mancanza di qualità.  Non c’è spazio per la noia, nessuna visione può essere una perdita di tempo o un’esperienza passiva. 

Le coreografie moderne sono influenzate da hip hop, jazz, tango, salsa, disco dance; le colonne sonore si fanno sempre più seducenti, fresche e sofisticate; nei set troviamo arredi di raffinato design e le star si vestono all’ultima moda con abiti disegnati dai migliori stilisti stranieri o locali. Dal 2007 il mensile Vogue pubblica la sua versione indiana con i bellissimi divi in copertina, mentre il numero delle riviste specializzate sul cinema si moltiplica di mese in mese, e l’uso dell’inglese ha permesso una loro diffusione mondiale. Le stars sono ovunque, dietro i cancelli di Filmistan oppure on-stage in una delle numerose performance live eseguite in grande scala, in un quiz a premi, in un talk show, nelle pubblicità dei prodotti più svariati, in passerella sfilando per le grandi firme, nella giuria di un concorso di bellezza, nei moltissimi siti web, nelle pagine twitter e nei blog personali. Notizie, pettegolezzi, servizi fotografici, nuovi trailer, promozioni dei film in uscita: impossibile non essere aggiornati. Il cinema, i suoi volti e la sua musica sono parte della vita quotidiana in un fenomeno senza sosta e senza confini.

Fiduciosa del suo potenziale Bollywood si muove anche in nuovi territori e cattura capitali dall’estero, si intrecciano collaborazioni con storiche case di produzione straniere come la Walt Disney, che acquista i diritti della distribuzione americana del dvd di Taare Zameen Par e finalizza un accordo con la Yash Raj per la realizzazione del lungometraggio animato Roadside Romeo. Seguiranno altri progetti ancora più interessanti, come il pluripremiato Do Dooni Char. Steven Spielberg diventa partner della Reliance e la notizia viene pubblicata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, la Fox produce My Name is Khan, la Columbia finanzia Saawarya, il film di Bhansali ispirato a “Le Notti Bianche” di Dostoevskij. Negli ultimi anni molti generi prima sottovalutati tornano in voga e creano nuove mode, vengono girati horror (Phoonk), noir (Strangers), e grazie all’esplosione del film Chak De! India, basato sulle aspirazioni di una squadra di hockey tutta al femminile, si avvia un filone di sports movie spesso collegati a sentimenti di orgoglio nazionale, il cui capostipite fu Lagaan (2001).
Il ventaglio delle tematiche da esplorare si fa sempre più ampio e imprevedibile: è necessario perdersi nella vastissima disponibilità di titoli sugli argomenti più svariati, dalle storie di denuncia sociale, corruzione politica e dominio dei mass media (Rann), di incontrollato marketing e strategie di vendita (Corporate), a remake di successi di altre filmografie indiane come i due film d’azione Ghajini (dall’omonimo film tamil) e Wanted (dal telugu Pokiri ). Tra i film che propongono riflessioni sulla diversità fisica, problemi psicologici e malattia, impossibile dimenticare il meraviglioso Black (2005) di Sanjay Leela Bhansali ispirato a The Miracle Worker (nella versione italiana Anna dei Miracoli). Uscito nel 2008 U me aur hum, diretto dall’attore Ajay Devgan e interpretato dalla moglie Kajol, osserva i cambiamenti della vita di coppia in seguito alla notizia di una precoce malattia degenerante; il recente Karthik calling Karthik si può definire a metà strada tra un film romantico e un thriller il cui protagonista è frustrato e affetto da disturbi psichici; sullo stesso tema, ma più cupo e biografico, è  Woh Lamhe, ispirato alla vita di Parveen Babi, star indiana degli anni Settanta colpita da schizofrenia, progetto voluto da Mahesh Bhatt, regista e produttore che ha condiviso con l’attrice una difficile relazione.
Più che un supereroe è un’apparizione divina che vola leggiadra tra i grattacieli e l’asfalto della metropoli o tra gli alberi di una verdissima natura incontaminata. Il più amato film per ragazzi degli ultimi anni è senza dubbio Krrish, con il magnifico Hrithik Roshan: attore impeccabile, uomo perfetto, energico ballerino. I più piccoli adoreranno film come Thoda Pyaar Thoda Magic e Boothnath, amicizia tra angeli / fantasmi e bambini pestiferi con echi a Mary Poppins, effetti speciali e magia; o il simpatico Bunty aur Bably, divertente risposta bollywoodiana a Bonny e Clyde. Tra le commedie non c’è che l’imbarazzo della scelta, dalle confuse situazioni dei film di Priyadarshan, a Race, fashion-thriller di Abbas-Mustan scandito da sexy item songs; dall’incredibilmente pazzo Housefull ai blockbusters comico-demenziali di Anees Bazmi come il successo Singh is Kinng, nel quale un imbranato contadino punjabi vola fino in Australia per convincere un boss della malavita a ritornare al suo villaggio, il tutto condito da musica travolgente (collaborazione speciale con il rapper Snoop Dog). Il divertente Akshay Kumar modaiolo sardar balla tra i templi di Karnak accanto a Katrina Kaif, star adorata dai giovanissimi, dalle curve morbide e dall'immancabile look da bambola.
Nel 2009 i mancati accordi tra produttori e multiplex provocano uno sciopero che paralizza per troppi mesi la distribuzione di nuove pellicole. Il lungo letargo si interrompe solo a fine maggio con  New York, nuovo lavoro di Kabir Khan. Il regista dell’interessante Kabul Express concentra nuovamente la sua attenzione sul tema del terrorismo internazionale. Seppur commerciale e segnato da un finale posticcio, il film non mostra alcuna pietà per lo spettatore e non risparmia dettagli delle torture a cui viene sottoposto Sameer (John Abraham), ingiustamente recluso a Guantanamo. Un successo mancato è il cupo e oscuro film di Rensil D’Silva, Kurbaan, sulla doppia vita di un terrorista e di sua moglie intrappolata tra le mura di casa. Questa volta appaiono senza riserve gli atti e le manovre dei soggetti realmente coinvolti nelle azioni. Il film, durissimo e drammatico, risulta ugualmente doloroso nelle immagini e nei contenuti. Andando contro corrente Bollywood invia messaggi di tolleranza anche in un momento in cui il clima di sfiducia e paura va per la maggiore. I film propongono nuovi dibattiti e guardano agli eventi, ma anche alle loro conseguenze indirette, da ogni lato e punto di vista possibili. L’esempio più rappresentativo è My Name is Khan, grande ritorno sullo schermo della coppia cinematografica più amata degli ultimi decenni: Shahrukh Khan e Kajol. Presentato dall’attore stesso durante la passata edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (e distribuito anche nelle sale italiane), questo film dai valori universali ci fa innamorare del suo protagonista, Rizwan Khan, affetto da sindrome di Asperger, la cui vita cambia drasticamente in seguito all’instaurarsi di un clima di odio e violenza contro ogni individuo di religione musulmana. Connesso al dilagare dei pregiudizi razziali post 09/2001, l’ultimo lavoro di Karan Johar punta alla riflessione, cercando di sfatare timori generalizzati. Riaffermando la propria identità e manifestando la sua estraneità agli eventi, Rizwan ripete compulsivamente la frase “My name is Khan and I am not a terrorist” / “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista”. Dopo pochi istanti ogni spettatore non può che sentire il suo appello impresso dentro di sè.

In una realtà sospesa nella tradizione ma pienamente inserita nel nuovo quadro internazionale, i cambiamenti in atto coinvolgono anche i soggetti cinematografici. Le scorrettezze aziendali e l’ansia di emergere riflettono i problemi di una società sempre più consumista e globale. Cosa succede quando si possiedono i numeri giusti nelle circostanze sbagliate? Ce lo spiega la commedia di Aziz Mirza Kismat Konnection, tra fortuna e sfortuna, situazioni stagnanti e successi improvvisi; Rocket Singh – Salesman of the year mostra come uscire dall’anonimato e dalla frustrazione in una grande impresa, rendersi indipendenti con l’astuzia e intrappolare i sedicenti datori di lavoro nel loro stesso gioco. Hello, adattamento cinematografico di un romanzo contemporaneo, costruisce una storia fantastica attorno alla massacrante routine dei call centre notturni, i centri di assistenza per clienti internazionali che sfruttano il lavoro di giovani indiani ansiosi di un’indipendenza economica. La differenza di fuso orario obbliga gli impiegati a restare in piedi tutta la notte e subire anche nel tempo libero una perenne reperibilità. 
Il successo economico delle aziende del sub-continente e la trasformazione dell’India nella nuova potenza emergente dell’Asia, stimolano la crescita dei consumi e un forte cambiamento del tenore di vita, si creano circoli di nuovi ricchi e nuovi classi medie residenti nelle grandi città, ora importanti poli finanziari.  Diretto ad un target di adolescenti ma non del tutto disimpegnato, il fenomeno giovanile Jaane tu ya jaane naa divide i personaggi in base alla loro estrazione sociale, imprenditori e middle class (allegramente soprannominati meow / gatti e rats / topi),  tra feste private e discoteche, e traccia un ritratto dei nuovi giovani sempre più indipendenti ma anche rinchiusi in ossessioni e incertezze davanti ai veri cambiamenti della vita. Ranbir Kapoor in Wake Up Sid! è un figlio di papà pigro e immaturo che decide di scoprirsi e mettersi alla prova dopo aver fallito gli esami. Sonam Kapoor in Aisha incarna un chiaro ritratto dell’alta società global votata al più assurdo consumismo.
Delhi 6 e Swades, distribuiti rispettivamente nel 2009 e nel 2004, sono differenti storie del ritorno a casa: Roshan (Abhishek Bachchan) e Mohan (Shahrukh Khan), da anni residenti in America, ritrovando il proprio Paese d’origine scoprono qualcosa in più di se stessi.
Il patriottismo diviene riappropriarsi dell’identità nazionale dopo anni passati all’estero, sentire come proprio il disagio e il dolore degli altri, e cercare di raggiungere dei miglioramenti visibili per la società partendo dalle piccole cose, rendendo spendibile il proprio bagaglio di esperienze. La crescita e la presa di coscienza di giovani disorientati è il cuore pulsante di Rang de Basanti, di R.O. Mehra: un gruppo di ragazzi confusi sente risvegliare a mano a mano la propria consapevolezza interiorizzando le vicende degli eroi dell’indipendenza che interpretano per un documentario. I protagonisti sono inquadrati in una dimensione di estrema soggettività, tanto che lo spettatore può entrare nella loro sfera interiore e sentirne i cambiamenti, cogliendo la trasfigurazione di ogni personaggio del film nel personaggio storico del quale iniziano a vivere le memorie. La tecnica narrativa a incastro sovrappone la rievocazione del passato al presente, svelando gradualmente un’irreversibile, e fatale, impersonificazione. Tutti e tre i film appena citati sono arricchiti da bellissimi brani composti da A.R. Rahman, affermato Mozart indiano, vincitore del premio Oscar per  Slumdog Millionaire.
Anche le grandi città e i loro sfondi divengono vanitosi protagonisti della scena. New York non è mai stata così bella come appare attraverso l’obiettivo di Karan Johar, Londra splende in Salaam E Ishq, passioni e odio accendono i grigi cieli di Seoul nel suggestivo Gangster - A love story, e diverse storie si intrecciano nella vita nevrotica di Mumbai in Life in a Metro, due bellissimi film, questi ultimi, di Anurag Basu, regista dal talento strabordante ma non esente da passi falsi, vedi il pesante tonfo di Kites. Tra i flop storici degli ultimi anni, il fallimento totale dei costosi quanto inutili Veer, Love story 2050, Drona e London Dreams, sorte che non risparmia nemmeno i grandi nomi come Subhash Ghai, che incontra un sonoro schianto con il sontuoso musical Yuvraaj, e Ashutosh Gowariker, il cui tentativo di girare una commedia (What’s your raashee?) nella quale l’attrice Priyanka Chopra interpreta ben 12 personaggi naufraga nonostante gli sforzi e l’esperienza del regista.

A volte invece film a basso budget sorpassano potenziali cavalli vincenti e fanno parlare di se. E' il caso di A Wednesday!, Mumbai meri jaan e Tum Mile, tutti e tre ispirati a eventi di cronaca contemporanea: il drammatico attentato ferroviario del 2006 e l’inondazione che nel luglio 2005 colpì la città di Mumbai. Ma soprattutto l'ironico Tere Bin Laden E il drammatico Udaan, capolavoro silenzioso di un giovanissimo regista emergente, film dai contenuti taglienti selezionato per il Festival di Cannes.

L’amore non è mai fuori moda e Bollywood ha il suo linguaggio. Ne verrete travolti. Lo studio dei desideri, delle illusioni, dell’immaginario è accuratissimo quanto incredibile. Una delle cose che colpiscono i neofiti al primo film è il soffermarsi delle inquadrature sul volto degli attori, sulle mani, sugli occhi. La telecamera si innamora dei protagonisti e trasmette la sua contemplazione ipnotica. Amarezza, ansia, dolore, sfida, innocenza, malizia: basta un attimo e le sensazioni si liberano nell’aria. L’efficace espressività degli interpreti è qualcosa di inimitabile, unico e prezioso.
Lasciatevi sedurre dal sanguigno racconto di amicizia, gelosie e passioni di Parineeta; restate a bocca aperta davanti all’affascinante coppia composta da Hrithik Roshan e Aishwarya Rai in Dhoom 2 e bloccatevi increduli di fronte ad un bacio mozzafiato, sguardi felini, corpi da sogno e danze da capogiro; in Fanaa la seduzione si accende attraverso scambi di poesia Urdu e dolcissime melodie; mentre la favola romantica Paheli vi trasporterà in un mondo fiabesco tra palazzi, deserto, racconti magici e sgargianti abiti rajastani.

L’erotismo vellutato è intriso nella narrazione stessa, spesso racchiuso anche solo in uno sguardo, in un velocissimo gesto. 
Il secondo fim di Karan Johar, Kabhi Kushi Kabhie Gham, (2001) fu il visto diplomatico per l’accesso di Bollywood in Occidente, e trascinò il pubblico europeo all’interno di una nuova dimensione emotiva dando prova che i sentimenti sono sempre un tema universalmente valido, suggestivo e appassionante. Kabhi Alvida Naa Kehna, distribuito nel 2006, aggiunge un nuovo capitolo nello studio di Karan Johar sui rapporti umani. Riunendo un cast di sole grandi superstar, il film parla con coraggio di una relazione extraconiugale, un amore ingovernabile e guidato dal destino, raccontato con eleganza, crescente pathos e maniacale attenzione ai dettagli. Aditya Chopra, figlio del mostro sacro Yash, personalità schiva e allergica ai media, dopo la storia d’amore dei record (Dilwale Dulhania Le Jayenge), ci incanta con un film tenero e irresistibile, Rab ne bana di jodi. Suri, un impiegato timidissimo, non riesce ad avvicinare la moglie Taani che lo ignora. Insicuro del suo aspetto, si trasforma in Raj, adorabile cafone ammiccante, e il nuovo travestimento lo scioglie dalle inibizioni permettendogli di esprimersi e dichiarare il suo amore. Una ragazza di origine indiana cresciuta a Londra si ritrova sposata con un ingenuo ragazzo punjabi nel tenero e divertente Namastey London di Vipul Shah. Scherzando sull’incontro / scontro dell’indipendente Jazz con il timido Arjun, il film dà voce ad una ricorrente situazione tipo: molti figli di indiani emigrati spesso si sposano nella terra d’origine delle proprie famiglie, ma il divario culturale non sempre è gestibile e si presentano ostacoli e incomprensioni, almeno iniziali. Incontrare un nuovo amore diviene riscoprire se stessi nel successo di Imtiaz Ali Jab we met. Un figlio di papà pronto al suicidio prende possesso della sua vita dopo l’incontro con una ragazza positiva e pazza. La scoppiettante favola moderna, guidata del tomentone “Mauja Hi Mauja”, insegna a crescere, conoscersi, e capire che esiste sempre un rimedio. Cheeni Kum rivoluziona ogni preconcetto sull’attrazione e sull’età anagrafica: un uomo maturo si sente un ragazzino e si innamora di una donna molto più giovane di lui, la madre anziana si crede adolescente, mentre una bambina di nove anni discute di filosofia e suggerisce agli adulti come vivere; contraddizioni e situazioni capovolte giocano con i più diffusi luoghi comuni sull’amore, la morte e l'età anagrafica.
Cambia il modo in cui vengono rappresentati i rapporti uomo / donna in molti film contemporanei: non più corteggiamenti, prove e attese, ma una relazione pratica e ormonale pronta a convertirsi anche in vero amore. Anuskha Sharma nei recenti Badmaash Company e Band Baaja Baaraat diventa  la forza motrice che rimette in sesto il protagonista maschile fragile e sbandato. Già in Salaam Namaste, distribuito nel 2005, Siddharth Anand cerca di lanciare nuovi messaggi facendo intravedere i cambiamenti nella vita sentimentale delle nuove generazioni. La commedia romantica ambientata in Australia ha per protagonisti due giovani di origine indiana che si amano alla follia fino al giorno in cui scoprono di aspettare un bambino. La notizia della gravidanza improvvisa getta nel panico il ragazzo ancora titubante, mentre la donna affronta da sola le decisioni. Sempre Anand firmerà uno delle love story più amate del 2010, lo smaliziato e moderno road movie Anjaana Anjaani. Un variopinto e ben orchestrato clash generazionale è il film Love Aaj Kal: il confronto a tavolino tra il giovane Jai (Saif Ali Khan) e Veer (Rishi Kapoor) agisce da filo conduttore della storia, un faccia a faccia tra due epoche e due punti di vista, l’amore fatto di piccoli traguardi di fronte all’impostazione moderna del rapporto tutto-e-subito veloce e disincantato. In Pyaar ke side effects Rahul Bose diventa un divertente Bridget Jones al maschile; Jia Khan conturbante Lolita seduce il padre della migliore amica nel difficile Nishabd e il mutuo desiderio stabilisce uno strana complicità impossibile da far accettare; il bellissimo Chameli di Sudhir Mishra (incentrato sull’intesa che sboccia in una notte di pioggia tra una prostituta in fuga e un uomo perseguitato dai ricordi) riassume in pochi fotogrammi e in una sola battuta finale tutte le sensazioni del film, “basta che ci sia amore” / “bas pyaar hona chaye”. L’amore non ha bisogno di spiegazioni e trova nel cinema indiano il veicolo ideale per esplorarsi, per comunicare la sua forza con efficacia, per essere intrappolato per sempre e rivivere ogni volta.
Dopo il successo di Dhoom 2, Aishwarya Rai e Hrithik Roshan tornano insieme nel grandioso Jodhaa Akbar. L’impero moghul secondo Ashutosh Gowariker, meravigliosi palazzi pazientemente ricostruiti nei Big ND Studios in Maharashtra, centinaia di comparse, investimenti astronomici, costumi sontuosi e gioielli veri realizzati da artisti d’intaglio e poi battuti all’asta. Il film ad altissimo budget apre in grande il 2008, anno interessante e fortunato che prosegue con il successo di Dostana, commedia scoppiettante su una coppia di amici che si finge gay per ottenere il permesso di soggiorno e l’affitto di uno strepitoso attico a Miami. Farhan Akhtar, dal primo film Dil Chahta Hai, continua la sua ininterrotta collezione di applausi: bello, sexy e intuitivo, nel 2006 dirige con coraggio il remake di Don, un classico degli Anni ’70 rivisto in chiave moderna e magistralmente interpretato da un sadico Shahrukh Khan (tornato a un ruolo negativo dopo anni di permanenza nella sfera dell’eroe romantico). Il suo film di esordio come attore, Rock On!!, fa riemergere ricordi abbandonati in soffitta al ritmo di musica rock, e invita a non seppellire le aspirazioni dell’adolescenza sotto il peso del tempo e della necessità di una sicurezza economica.
Negli ultimi anni Bollywood ha iniziato a riflettere su se stessa, rievocando con brio la sua storia e giocando con il preparatissimo spettatore. Vengono pensate dream sequences che attingono al comune archivio di conoscenze:  “Zoobi Doobi” nel film 3 idiots ammicca richiami a film come Prem rog, Shree 420 e Pyaasa, mentre “Phir milenge chalte chalte”, da Rab ne bana di Jodi, ha un testo composto esclusivamente da titoli di classici incastrati tra loro, e la coreografia rende omaggio ai grandi interpreti del passato.  Romantica e scherzosa, la commedia sentimentale I Hate Luv Storys gioca sui “dietro le quinte” della produzione cinematografica, intrecciando una fittissima quanto piacevole rete di richiami. Luck by chance mostra Farhan Akhtar nei panni di un aspirante attore pronto a qualsiasi compromesso pur di raggiungere la popolarità. Girato in seppia, nostalgico e triste, Khoya Khoya Chand, basato sull’ascesa e il tragico epilogo di una giovane star degli anni Cinquanta, non ha incontrato i favori del pubblico pur essendo un prodotto di per sè ben confezionato. Ma  il più famoso tributo di/Bollywood /su/Bollywood resta comunque lo sfavillante e ironico Om Shanti Om. Il successo della regista – coreografa Farah Khan, meglio conosciuto come OSO, è un succoso e glitterato contenitore di citazioni, set grandiosi, colori accecanti e canzoni da ascoltare no stop. Shahrukh Khan si lancia in una sensuale  item-song sfoggiando un look da ventenne e inediti addominali. Giocando con la sua immagine pubblica e il suo straordinario appeal, Shahrukh interpreta nuovamente il ruolo di un attore famoso e idolatrato. In Billu è una superstar che raggiunge un villaggio per le riprese del nuovo film e che sconvolge la vita del barbiere, il quale timidamente dichiara di essere “suo amico” (Irrfan Khan). Isteria di massa, concerti live, fan di tutte le età arrampicati sugli alberi per poter sbirciare sul set e vedere dal vivo “the King”, immagini sacre vendute accanto alle locandine dei suoi film più famosi e ragazzini che vogliono tagliarsi i capelli esattamente come lui. Niente di tutto ciò è troppo distante dalla realtà. Reazioni di follia per il fenomeno SRK tornano ad essere il tema introduttivo di avventure e disavventure di altri personaggi. E' il caso dell’appena distribuito Shahrukh bola Khoobsurat hai tu, in cui una ragazzina che vende fiori ai semafori, fan accanita di Shahrukh, incontra per caso la star e vede trasformarsi in realtà il suo più grande sogno. Come riuscire a dimostrare di aver veramente interagito con il Re di Bollywood? Nessuno vorrà credere alle sue parole. L’amore incontrollabile per le star indiane non è facilmente spiegabile con la ragione, l’attore non è soltanto una personalità carismatica e un bel volto da stampare sulle copertine, ma il corpo di infiniti personaggi che si incollano l’uno sull’altro nell’immaginario collettivo, un messaggero di emozioni, un patrimonio comune ma irraggiungibile.
Tagliente, gioioso, vibrante o pazzo, troverete centinaia di aggettivi per definire un solo film e fallirete nel tentativo di inquadrarlo in un'unica categoria. Dietro ad ogni nuova uscita c’è la mano paziente di narratori instancabili e di lungimiranti uomini d’affari. Nonostante i numeri e il suo glamour, Bollywood si mostra molto meno consumista di quanto si potrebbe credere: solo i brutti film si guardano e si gettano via, i titoli buoni vengono interiorizzati, ricercati, riproposti, non merce da utilizzare ma un legame duraturo e appagante. Produttori e registi non puntano solo a trascinare il pubblico nelle sale una volta ma a vendere lo stesso titolo ripetutamente. Se il film accende la scintilla, va ad incidersi in profondità nella psiche ed avvia una catena di ripetute visioni. Alla luce di tutto ciò sarà chiaro che realizzare un buon film a Mumbai non è roba da niente.
I grandi registi indiani sono in grado di gestire con eleganza possenti blockbuster commerciali senza che il loro spirito artistico ne venga in alcun modo intaccato. Tradizione e grandeur si uniscono alle nuove tecnologie nel cinema fastoso e impegnato di Sanjay Leela Bhansali (Devdas), maestro di una nuova estetica capace di compiere una personale sintesi tra le sette arti nelle sue realizzazioni in grande scala. Immagini mentali, suggestioni, ricordi, visioni, la giustapposizione di architetture da sogno e la ricchezza della scenografia suggeriscono allo spettatore di “esplorare” l’ambiente in cui si svolgono le scene.
Famoso per i suoi adattamenti di opere Shakespeariane all’interno di un contesto profondamente indiano, Vishal Bhardwaj, contemporaneo maestro dell’originalità, inizia la sua carriera come compositore musicale prima di trasformarsi in uno dei più innovativi registi del momento. Dopo le meravigliose trasposizioni di Macbeth (Maqbool) e Otello (Omkara), si sbizzarrisce con un pulp movie dal titolo provocatorio Kaminey (trad. bastardo), dimostrando di saper passare dalla poesia alla violenza in un battito di ciglia. Inquadrature veloci e nervose per comunicare l’ansia e le tumultuose sensazioni, rapporti istintivi e sanguigni nel film rivelazione dell’anno 2010, Ishqiya, da lui scritto e prodotto.
Nel 2010 due epiche della tradizione religiosa Hindu guidano le trame di moderni prodotti cinematografici: ispirati al Ramayana sono Raavan e Raavanan di Mani Ratnam, mentre  Raajneeti di Prakash Jha mostra forti richiami al Mahabharata. Ratnam, il cui primo grande successo fu Roja (1992), primo film della trilogia sul terrorismo, seguito da Bombay e Dil Se, riesce nel difficile compito di unire temi di attualità, violenza e politica con appassionanti storie d’amore, sequenze di sogno e spettacolari visualizzazioni dei brani musicali. Le colonne sonore che accompagnano i suoi film sono sempre magnifiche, grazie al sodalizio professionale con il compositore A.R. Rahman.
Girato tra Istanbul, Mumbai e il Gujarat, Guru (2007) ripercorre la carriera e la vita familiare di un self made man combattivo e ambizioso, ma è guidato da una sua morale, ed è riscaldato dalla presenza della storia d’amore in - off screen tra Abhishek Bachchan e la bellissima Aishwarya Rai. Il film, tra i numerosi punti di forza, deve molto anche alle interpretazioni dei comprimari: R. Madhavan, Mithun Chakraborty e Vidya Balan. 
Dal dark e criptico No smoking, Anurag Kashyap si impone come uno dei più promettenti registi della “new wave”. Dev D, controverso e rivoluzionario, evoca l’amore autodistruttivo di Devdas, protagonista dell’opera di Sarat Chandra Chattopadyay e tema di moltissime trasposizioni cinematografiche, da quella di P.C Barua a Bimal Roy, da Bhimsingh a Sanjay Leela Bhansali. In questa versione contemporanea l’insuccesso e la passività del protagonista (Abhay Deol) si rifugiano nelle diverse forme di dipendenza: alcol, droghe e amore ossessivo. Altri esempi di film non convenzionali: il caotico Being Cyrus, in cui la narrazione assomiglia a un flusso di coscienza in stile Joyce e la voce fuoricampo di Saif Ali Khan diviene una vera e propria autoanalisi; ma anche l’esperimento incredibile nel voyeuristico Love Sex aur Dhokha; il cupo The Film Emotional Atyachar, unconventional road movie girato completamente in notturna il cui titolo è preso proprio dal testo di una canzone di Dev D; Dor, incantevole fiaba dell’amicizia; The Last Lear e Raincoat, suggestivo cinema - teatro di Rituparno Ghosh. Ram Gopal Varma, poeta dell’underworld metropolitano, si muove con creatività tra storie di gangster e corruzione delle forze dell’ordine, inefficacia delle istituzioni e governi paralleli. In omaggio alla saga de “Il Padrino” ecco i suoi film Sarkar (2005) e Sarkar Raj (2008). Madhur Bhandarkar divide la sua filmografia per settori di osservazione, sceglie un ambiente, una problematica e da essa fa nascere una storia realistica ma non priva di attrattiva. La sua avventura ha inizio con Chandni Bar, uno sguardo al mondo notturno dei beer bar, locali in cui l’intrattenimento per soli uomini si trasforma in facile mercato del sesso, e continua con Traffic Signal, film sull’accattonaggio ai semafori di Mumbai legato alla criminalità organizzata. Luci e ombre nel crescente mercato dell’alta moda indiana in Fashion, fino allo scarno e drammatico Jail, girato quasi esclusivamente all’interno di un penitenziario.
L’esodo di massa verso le grandi città diviene uno dei tanti temi toccati dalle pellicole indiane negli ultimi anni. La presenza delle affollatissime metropoli, sempre più caotiche e occidentalizzate, coesiste con la realtà delle campagne governata da ben altri ritmi e consuetudini. Interessanti riflessioni sulla vita nei villaggi nell’era globale si possono trovare in film come Road Movie, strano viaggio interiore di un giovane alla ricerca di se stesso alla guida di un furgone - cinema itinerante attraverso le realtà più remote del Paese; Welcome to Sajjanpur, di Shyam Benegal, quadro dolce e amaro della vita degli abitanti in una piccola località rurale; ma soprattutto Peepli (Live), della debuttante Anusha Rizvi (prodotto da Aamir Khan e interpretato dai membri di una compagnia teatrale), una satira saggia e diretta come una lancia sull’attività feroce dei mass media, sulla corruzione politica, ma soprattutto, sull’impossibilità di cambiare la propria situazione al punto che il suicidio sembra l’unica soluzione di fronte all’accumularsi dei problemi.
L’attore Sanjay Dutt trova in Munnabhai, impacciato gangster dal cuore d’oro e dai modi poco ortodossi, il miglior ruolo della sua carriera. I due film Munnabhai MBBS (2003) e Lage Raho Munnabhai (2006) di Rajkumar Hirani, sono esperimenti di fusione tra impegno e spensieratezza, ricchi di intrattenimento e vibrazioni positive. Le avventure di Munna e Circuit hanno dosato risate e lacrime senza risparmiare riflessioni, e il regista ha conquistato il pubblico con le sue tragi-commedie intrappolate nella filosofia. Il recente fenomeno 3 Idiots porta a galla domande pertinenti riguardo il sistema dell’istruzione e formazione dei giovani attraverso denunce non troppo velate seppur mimetizzate nella commedia. Rancho (Aamir Khan) si ribella al rigido sistema educativo e mostra le lacune dell’insegnamento meccanico e nozionistico, ride sull’insensata corsa all’eccellenza secondo la quale, per citare un dialogo del film, ”... il primo uovo che si schiude deve gettare al suolo gli altri”... Sotto la pressione delle famiglie e a contatto con la scarsa vocazione degli insegnanti, i tre studenti (ironicamente indicati dal film come 3 idioti) cercano di ritrovare la calma e l’equilibrio rassicurandosi e ripetendo “all izz well”/ “tutto va bene”. Il film scorre, tramortisce, distrae, diverte, e l’imprevedibile equilibrio si crea. Il protagonista, Aamir Khan, non è solo uno degli attori di punta dello star system, ma anche un sorprendente regista, capace di scatenare un uragano di meritati successi solo con il suo primo film, Taare Zameen Par (2007), dialogo interiore di un bambino dislessico, osservatore e amante della pittura ma sottoposto a continue frustrazioni da parte di genitori e insegnanti incapaci di intuire la ragione del suo lento apprendimento. Ishaan (Darsheel Safary) grida silenziosamente aiuto incamminandosi in un pericoloso percorso di totale chiusura al mondo, ma nessuno, a parte il nuovo maestro di disegno, presta attenzione alle sue difficoltà.
Darsheel Safary, a soli undici anni candidato ai Filmfare Awards a fianco dei più grandi nomi, è forse il più famoso ma non l’unico giovane attore ad aver catturato l’attenzione di critici e media. Altri piccoli interpreti si muovono in grandi storie spesso dirette da fenomenali registi. Tahaan, di Santosh Sivan (Asoka), è un film strano e di poche parole, dalla trama semplicissima ma dalla realizzazione sofisticata. Un bambino del Kashmir non accetta di separarsi dal suo asinello dopo che la madre è costretta a venderlo. Tahaan, determinatissimo e cocciuto, cerca in ogni modo di ritrovare l’amico, e finisce, senza rendersene conto, in mano ad un gruppo terroristico.  Aldilà della storia e della meravigliosa fotografia, spicca l’abilità del regista nell’aver catturato una sorprendente naturalezza nel piccolo attore (Purav Bhandare) e di aver dato voce al solitario paesaggio, che emerge con tutta la sua silenziosa bellezza tra il frastuono della guerra.
Altra giovanissima attrice, Shreya Sharma, è Binya in The blue umbrella, di Vishal Bhardwaj. Perfettamente costruito attorno alla figura di uno strano ombrello giapponese, il film osserva l’arrivo in un villaggio dell’oggetto stravagante e inutile, ma così bizzarro e misterioso da apparire la materializzazione del desiderio. Non semplicemente un giocattolo ma un’immagine seducente, uno strumento per distinguersi e lasciarsi ammirare, il cui richiamo si fa sempre più forte passando dalle mani della bambina, guidata solo da curiosa vanità, a quelle dell’adulto (Pankaj Kapoor), la cui grottesca ansia di potere diviene autodistruzione.
Mi spiace per Hollywood se di Big B ce n'é uno solo, ed è nato in India. Ammesso che di un piccolo protagonista in questo caso si possa parlare. Il già pluripremiato Paa, di R.Balki, è un esperimento irripetibile e sbalorditivo. Amitabh Bachchan a sessantasette anni decide di trasformarsi in bambino e propone uno scambio di ruoli a suo figlio Abhishek. Privo di scontata commiserazione, il film non è solo ricco di sentimenti, ma è anche intelligente, originale e soprattutto divertente. La star interpreta Auro, ragazzino affetto da una rara malattia genetica. Lo guardiamo increduli giocare, arrossire, incantarsi davanti alla playstation, scambiarsi confidenze con la nonna, parlare con il peluche nella cameretta, annoiarsi in un letto d’ospedale. La metamorfosi dell’attore tiene sospeso il film in uno strabiliante incantesimo.
Impossibile non notare recenti influssi hollywodiani e ricorrenti fenomeni di ispirazione e assimilazione soprattutto tra le distribuzioni degli ultimi anni. Un attimo di attenzione è però sufficiente per capire che le caratteristiche del cinema indiano continuano a dimostrarsi del tutto differenti, il suo linguaggio filmico è una cosa a sé perché diverso è il rapporto che lo spettatore ha con la pellicola. Vorrei credere però che la sospensione della song and dance formula, sostituita a volte da brani musicali di sottofondo, non sia una strategia di avvicinamento allo standard dei film occidentali ma solo una delle tante opzioni possibili, una scelta narrativa. Anche la presenza di un cantante narratore, in sostituzione al playback, era già stata introdotta in molti film del passato, basti pensare ai grandi registi dell’età d’oro Guru Dutt e Raj Kapoor e al modo in cui hanno scelto di girare i brani “Neele Aasmane” (Mr & Mrs 55) e “Ek bewafaa se pyar kya” (Awaara), ma gli esempi potrebbero essere centinaia. La musica e il testo mettono in luce i pensieri dei personaggi o il tono della situazione, il cantante legge nella mente e può esprimersi senza limiti, predire il futuro, ricordare il passato, lodare o accusare i personaggi, che sia presente sulla scena,  o ai margini di essa, come la rock band di Life in a metro. Nonostante le nuove tendenze preferiscano una colonna sonora di sottofondo piuttosto che vere e proprie coreografie, continuo a sperare che la sostituzione non avvenga mai e che il cinema indiano si rifiuti di perdere la sua principale caratteristica.
La nuova Bollywood che continua a raccogliere ogni giorno piogge di consensi non nasce dal nulla né salta fuori da un’immensa bolla di sapone, ma è figlia di una vastissima e preziosa eredità cinematografica. Il cinema indiano degli anni ’70, rilanciato dall’esplosivo Om Shanti Om, rivive nella commedia romantica Action Replayy, nella quale Akshay Kumar e Aishwarya Rai sfoggiano un coloratissimo look retrò, e nel nostalgico Once upon a Time in Mumbaai, che regala ad Ajay Devgan un personaggio costruito sull’impronta dell’"angry young man" interpretato con successo da Amitabh Bachchan. Dando nuova vita ai più scoppiettanti ingredienti della tradizione masala, Dabanng, poliziesco scanzonato e adrenalinico, mescola saggiamente azione, commedia e glamour regalando al pubblico un nuovo e ruggente Salman Khan.
L’interessante produzione contemporanea in realtà non è così distante dal suo passato come vorrebbe far sembrare ma ne è la continuazione ideale, il proseguimento di un flusso creativo incontrollabile, riflesso di un Paese che cambia. Molti non lo sanno ma c’è lo zampino di tecnici indiani anche dietro la realizzazione di numerosi film americani, soprattutto lungometraggi animati e fantasy movies. Spensierate commedie incendiano il botteghino a fianco di film poetici, storici, romantici, sperimentali, o puri capolavori d'intrattenimento, dalla trasposizione di opere letterarie alla riflessione su temi di attualità. C’è spazio per tutto, le possibilità di scelta sono tante quanto i diversi gusti del pubblico. Se Hollywood ha vita breve lontana dal suo mercato internazionale, Bollywood finora non ha mai mosso un dito per farsi notare all’estero e come un gigante silenzioso si gode i suoi frutti continuando a spiare il resto del mondo dal soppalco. In Paesi come l’Italia vige ancora la regola del passaparola, eppure il fenomeno si muove e chissà quali effetti porterebbe una campagna pubblicitaria mirata a stabilire il prodotto nel mercato.
Data la completezza delle sue tematiche, la bellezza formale e l’intrattenimento che la contraddistinguono, non c’è da sorprendersi se la produzione cinematografica indiana si stia imponendo anche in Europa, e nemmeno se siano state alcune ragazze spagnole a scalare la vetta del concorso indetto dalla Yash Raj durante il lancio di Rab ne Bana di Jodi nel 2008 (unico premio in palio incontrare Shahrukh Khan, scusate se è poco). “Bollywood macht glücklich / bollywood ti fa felice” è l’inno dei promotori del bollywood life-style in terra tedesca, la ventata di colore e positività è ormai diventata un fenomeno di costume, dalla vendita e doppiaggio di dvd alla proposta di abiti e acconciature ispirate all’Indian urban fashion, festival e mercatini tematici, lezioni di danza e cucina, corsi di lingua, svariati tipi di merchandising, dalle borse ai quaderni di scuola. La Germania è solo l’ultima conquista: America Latina, Africa, Medio-Oriente vantano un’amicizia di vecchia data, e la Russia fu la prima ad impazzire per il cinema indiano, dai tempi di Raj Kapoor. Ma se i prodotti della nuova Bollywood sono i primi a colpire l’Occidente conquistando consensi e coinvolgendo ogni giorno nuovi spettatori, sono soprattutto i titoli del suo passato prossimo o passato remoto a stabilire con loro il legame di una vita. Come le prime pagine di un libro avvincente che obbligano il lettore ad andare fino in fondo, stuzzicando come antipasto Luck by chance e Kaminey, ci si ritrova presto a divorare Kuch Kuch Hota Hai, 1942 a Love Story e Dilwale Dulhania Le Jayenge, fino a saziarsi con Sholay, Pyaasa e Awaara.